A cura di Devi Sacchetto
Scopo di questa breve relazione è discutere il concetto di lavoro dignitoso dal punto di vista sociologico e al tempo stesso mostrare le aporie e le problematiche intorno a tale concetto. In un volume di qualche anno fa Dominique Medà (Società senza lavoro, Feltrinelli, Milano, 1997) sottolineava come sia lo statuto del lavoro stesso a essere di per sé un problema centrale per le società occidentali, industriali o post-industriali che siano, in quanto costituisce una delle sue dimensioni essenziali, uno dei suoi fondamenti.” (Méda 1997, p. 7). Da tre secoli apparteniamo a società fondate sul lavoro e questo implica da un lato che il lavoro (salariato) è il principale mezzo di acquisizione di un reddito che consente agli individui di vivere e dall’altro che il lavoro è divenuto un rapporto sociale fondamentale. Ci troviamo oggi in una situazione paradossale perché l’elevata produttività sembra andare di pari passo a quote crescenti di disoccupati e al permanere quando non all’aumento di occupazioni precarie.
Il Novecento è stato il secolo in cui il lavoro, o meglio l’occupazione, è stata posta al centro del mondo. Strumento di emancipazione economica e di relazione sociale, il lavoro dovrebbe costituire e definire l’intera dimensione dell’umano, sicché la sua eventuale critica porta con sé la necessità di dover riconsiderare l’intera organizzazione delle nostre società. Per le società occidentali, e in particolare per quella italiana che lo enuncia nel primo articolo della Carta costituzionale, lo statuto del lavoro costituisce una dimensione essenziale della vita quotidiana. Il XX secolo è stato l’epoca del lavoro che non ha garantito solo un reddito, cioè la stretta contropartita della prestazione, ma anche il canale attraverso cui gli individui hanno avuto accesso alla piena cittadinanza.
La questione del lavoro dignitoso dovrebbe forse essere discussa a partire da queste problematiche e dalle tensioni che quotidianamente si producono nei rapporti lavorativi. In particolare penso che occorra tenere presente come sia il concetto di lavoro sia il concetto di lavoro dignitoso sono prodotti storici e quindi in continua trasformazione. Nel corso degli ultimi anni prima l’Organizzazione internazionale del lavoro nel 1999 e poi l’Ue hanno tentato di sistematizzare una definizione di lavoro dignitoso senza tuttavia arrivare a risultati condivisi. Il lavoro dignitoso può riferirsi alla mansione svolta, al livello di qualificazione, al livello di manualità o di intellettualità presente. Oppure può riferirsi al grado di controllo sul lavoro, alla partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, al tempo, oppure come recentemente hanno fatto alcune Ong a quello che è stato definito salario dignitoso. E, d’altra parte, raramente il concetto di lavoro dignitoso ha preso in considerazione l’aspetto della riproduzione sociale, se non come equilibrio tra i tempi di lavoro e il tempo libero. Ma quali sono le ripercussioni sulla vita quotidiana o come un lavoratore spende il tempo libero viene solitamente analizzato da altri ricercatori che non si focalizzano sulla questione lavorativa.
A me pare che le gradazioni delle condizioni di lavoro siano sempre più connesse alla struttura produttiva contemporanea. Analizzando l’attuale forma della struttura produttiva Jane Wills (2009) ha sottolineato che il carattere paradigmatico delle forme del lavoro contemporaneo è il ‘capitalismo del subappalto’. Pur con i suoi limiti, questo concetto permette di cogliere come queste forme di ‘iper-mediazione’, sulla base delle quali all’interno del rapporto di lavoro si inseriscono soggetti terzi (siano esse imprese, agenzie interinali o cooperative), abbiano un impatto decisivo sulle condizioni di lavoro, oltre che sulle capacità organizzative dei lavoratori.
La frammentazione dei processi produttivi, di distribuzione e di consumo ha trasformato i rapporti tra imprese, le modalità produttive e riproduttive e i rapporti lavorativi, comprese le forme di gerarchia e di controllo del lavoro. Nel corso degli ultimi trent’anni infatti le strutture produttive si sono articolate in reti che si dispiegano in diverse aree facendo affidamento a eterogenee composizioni di forza lavoro. Oggi un qualsiasi prodotto è composto di lavoro che viene erogato in diversi contesti nazionali e da lavoratori e lavoratrici che possono godere di condizioni lavorative assai diversificate. L’analisi del lavoro dignitoso credo quindi vada costruita a partire dalle articolazioni delle reti di produzione globali per comprendere come le varie forme di lavoro si distribuiscono a livello internazionale, tenendo presente che non possiamo pensare né di fermarci ai confini italici o europei né chiedere al lavoro di sostituirsi alle nostre forme di convivenza.