…Quindi non domandate più ‘Cosa farai da grande?’ ma… – parte I

Salvatore Soresi
Laboratorio Larios, Università di Padova

Si ringrazia la rivista Scuola7 per la gentile concessione e la possibilità di pubblicare questo articolo anche nella Newsletter della SIO

Sebbene sia la domanda che più spesso viene indirizzata agli e alle adolescenti quando desideriamo dimostrare loro che siamo interessati al loro futuro, è una richiesta che gli orientatori e le orientatrici dovrebbero considerare inopportuna e obsoleta, se non proprio fuorviante, per quanto concerne almeno l’intenzione di tentare un dialogo a proposito del futuro dell’interlocutore e, perché no, anche nostro.

Non consideriamo questa richiesta innocua per una serie di ragioni. Con il testo che segue si cercherà di motivare questa affermazione e si andrà alla ricerca di altri interrogativi che sarebbe preferibile porre quando la nostra curiosità e preoccupazione ci portano a rivolgerci a chi ci sta a cuore e vorremmo probabilmente anche aiutare a riflettere a proposito di ciò che ci piacerebbe e/o temiamo possa accadergli/le nel tempo che verrà.

Incominciamo con il considerare perché sarebbe opportuno evitare di porre domande di questo tipo:

1. Beh! …innanzitutto, chiedendo ‘cosa farai da grande? dichiariamo implicitamente che lo consideriamo piccolo, che non potrà continuare a fare ciò che sfa facendo, che si trova in una fase ‘provvisoria’ che anche lui o lei dovrà smetterla di essere piccolo/a, adolescente e che prima o poi diventerà grande, adulto e che dovrà fare necessariamente dell’altro perché ciò che sta facendo non sarebbe ‘cosa da grandi’. Chiedendogli/le ‘cosa farai da grande’, inoltre, inevitabilmente attiriamo la sua attenzione sul ‘fare’, su un verbo che pur potendo essere associato a un numero estremamente ampio di azioni ed attività (fare un gesto, fare baccano, fare un passo avanti, fare una buona o cattiva impressione, ma anche ‘fare caso’, ‘fare finta’, ‘fare fronte, ‘fare centro’, ‘fare l’impossibile’, ‘fare mente locale’, ‘fare l’inventario ; o ‘lasciar fare’, fare fortuna, non far nulla, mi darò da fare, fare amicizia, volontariato, ecc.) lo o la si invita di fatto, e il più delle volte, a ridurlo al ‘fare un lavoro’, una professione (l’avvocato/a, l’informatico/a, l’infermiere/a, il calciatore o la calciatrice, l’attore o l’attrice, ecc.) così come attestano le risposte che il più delle volte ottengono coloro che formulano domande di questo tipo. Dal punto di vista dell’orientamento 5.0 (Soresi, 2022, 2023), a differenza di come accade frequentemente, saremmo portati a considerare maggiormente proiettate verso i futuri e pertanto più interessanti e pertinenti per l’orientamento risposte del tipo ‘E chissà? Potrei dirti cosa mi piacerebbe fare, dove vivere, come e dove trascorrere un po’ di tempo libero; che ‘Ci sto ancora pensando’, che ‘Ciò che desidero non è detto che sia proprio ciò che farò, e poi tanto fare, fare, fare… a che pro? ‘E tu che mi chiedi questo, cosa farai da grande? …

Si tratta di una domanda, inoltre, che invita a rispondere al singolare o, nel migliore dei casi, in modo dubitativo (l’avvocato o l’ingegnere), mentre da tempo ormai si ritiene che l’idea di poter svolgere un’unica professione per tutta la vita è ingenua, antiquata, che non riguarda il futuro, ma un passato ormai lontano. Secondo diverse indagini condotte soprattutto negli USA, ma la situazione europea non dovrebbe essere molto dissimile, e secondo quanto recentemente ha diffuso l’agenzia Zippa che si occupa di tematiche associate alla ricerca di lavoro, si può ritenere che in questi ultimi anni (dal 2019 per la precisione) una persona adulta, mediamente, ha già cambiato lavoro 12 volte; che un lavoratore o una lavoratrice è rimasto alle dipendenze dello stesso datore di lavoro per 4,3 anni; che il 91% dei Millennials prevede di cambiare lavoro ogni 3 anni, che nel gennaio 2020 il 75% dei giovani tra i 16 e i 19 anni è stato con i propri datori di lavoro per 12 mesi o meno. Sempre negli USA i lavoratori ‘bianchi’, in genere, rimangono nel loro posto di lavoro più a lungo degli ispanici, degli afro-americani e degli asiatici. Inoltre, più elevato è il livello di istruzione posseduto, più corti sono i loro periodi di disoccupazione; ‘quelli che hanno studiato’ tendono a rimanere con un medesimo datore di lavoro o datrice di lavoro più a lungo e più del 50% riferisce che utilizza nella propria attività lavorativa ciò che ha appreso nel corso della frequenza universitaria.

2. ‘Cosa farai da grande’ è una domanda da evitare soprattutto durante le cosiddette fasi di transizione (da una scuola ad un’altra, ad un corso di laurea o da una scuola ad un lavoro) in quanto difficilmente i percorsi formativi effettuati possono essere paragonati ad una superstrada che porta direttamente ad un’occupazione preselezionata e già inserita nel proprio navigatore. È preferibile far immaginare una ‘rete stradale’ con tanti incroci, traiettorie tortuose e preziose e promettenti deviazioni, incroci, rotatorie che possono indicare anche possibilità ed attrazioni che precedentemente non potevano nemmeno essere immaginate perché individuabili, solo, ‘strada facendo’ e dopo essersi messi in moto. Nell’orientamento queste deviazioni, queste rotatorie sono rappresentati da incontri imprevisti e non programmati, da esperienze coinvolgenti inattese, da problemi e difficoltà non immaginate, da occasioni che anche casualmente potrebbero improvvisamente presentarsi. Quanti di noi si sono trovati di fatto a svolgere un’attività lavorativa diversa che non era stata nemmeno ipotizzata alla fine o all’inizio dei propri percorsi formativi, alla conclusione della frequenza della scuola secondaria o all’iscrizione ad un corso universitario?

3. Come già accennato questa richiesta va considerata inadeguata anche perché quel ‘quando sarai grande’ si associa facilmente al ‘quando sarai più maturo o matura’ stimolando l’idea che l’identità personale, il valore di una persona, i sé futuri, come direbbero i futurologi, siano strettamente collegati al lavoro, al successo professionale, alla posizione lavorativa ricoperta più o meno prestigiosa. È questo ciò che intendono comunicare quegli orientatori che continuano a chiedere ‘Cosa farai da grande?’. Già il fare piccole aggiunte a questo interrogativo, oltre a produrre forse risposte diverse potrebbe trasmettere visioni alternative della vita e della stessa progettazione professionale: basti pensare a cosa potremmo rispondere se ci venisse chiesto: ‘Se dovessi cambiare lavoro, quale ti piacerebbe svolgere? o ‘… di quale ci sarà più bisogno nella tua comunità? o ancora, ‘Quale potrebbe essere per te maggiormente prestigioso?’, ‘Quale ti darebbe la possibilità di dedicarti maggiormente ai tuoi interessi?’ o ‘Quale ti consentirebbe di contribuire maggiormente allo sviluppo sostenibile, alla riduzione delle disuguaglianze, alla realizzazione degli obiettivi 2030 dell’ONU e cosi via?…

Forse potremmo concludere queste prime riflessioni dicendo semplicemente: ‘Dimmi che domande fai a proposito del futuro, e ti dirò a cosa aspiri, di cosa ti occupi e cosa consideri di fatto importante oggi, nel tuo presente’. Forse, per quanto importante debba essere considerato il lavoro e, in particolare quello dignitoso e di qualità, come orientatori, orientatrici, ed educatori ed educatrici dovremmo assicurarci maggiormente che i nostri interlocutori (clienti, figli, figlie, studenti, studentesse, lavoratori, lavoratrici, ecc.) non facciano coincidere lo svolgere una professione ‘di successo’ con l’obiettivo finale dell’esistenza umana, con il suo senso di responsabilità nei confronti di altri beni personali e comuni. Il lavoro che svolgiamo rappresenta solamente un aspetto della nostra identità, il nostro sé professionale che non può però occupare gli spazi che abbiamo il diritto e il dovere di riservare ad altri nostri sé possibili, a quelli che riguardano, ad esempio, il nostro considerarci membri di una famiglia, di una comunità o persone interessate a vedersi attive in ambiti tra loro anche molto eterogenei.

Quindi, se questa classica domanda va rigettata in quanto considerabile addirittura nociva, cosa dovremmo o potremmo chiedere in alternativa se consideriamo ovviamente utile cercare di soddisfare questa nostra curiosità?Innanzitutto, dovremmo sostituire con dell’altro quel fare da grande che concorrono decisamente a rendere inadeguata la richiesta in questione. Quelli che seguono sono solo alcuni esempi di come, all’interno di quelli che chiamiamo laboratori di orientamento 5.0 (Soresi, 2022, 2023), potremmo dimostrare il nostro originale interesse nei confronti del futuro di coloro che hanno deciso di parteciparvi.

1) Per ridurre la distanza tra il richiedente e il rispondente, tra chi è già grande e chi non lo è, sarebbe opportuno riferirci esplicitamente e da subito al futuro. Già il chiedere ‘cosa farai in futuro’ oltre ad attestare che anche il nostro interlocutore ne avrà, stimola a ragionare su possibilità, probabilità, tempi e contesti diversi ed alternativi, su azioni che potrebbero essere a tal fine progettate e intraprese. Si potrebbe anche chiedere cosa vorresti che per te, ma anche per altri, accadesse in futuro? Quando incomincerà per te il tuo futuro? Quando sarai completamente immerso nel tuo futuro? Fra quanti anni? Sarà quello che desideri maggiormente o quello che altri avranno ipotizzano per te? Il tuo futuro, come sarà considerato dai tuoi familiari, dai tuoi amici, dai tuoi insegnanti? Cosa puoi dire del futuro che desideri maggiormente, di quello che consideri per te impossibile, di quello che ritieni più probabile, più stimolante, più temibile, più eccitante e così via? ‘Dove si collocheranno i tuoi futuri’, da chi, oltre a te, saranno frequentati? Quanto dureranno?

2) In questo modo, proponendo di parlare di futuro non sarebbe ovviamente male premettere qualche informazione a proposito del significato di questa espressione e delle ‘tipologie’ di futuri ai quali potremmo fare riferimento e muoverci con l’orientamento. Utile al riguardo potrebbe essere quella che è stata proposta da Joseph Voros (2003, 2017). Si tratta di uno studioso australiano di ciò che verrà, particolarmente sensibile nei confronti del fatto che trattasi di un costrutto che potrebbe suscitare anche tante sensazioni negative per l’uso, spesso superficiale, che ne fanno coloro che sono interessati soprattutto alla previsione delle evoluzioni e dei cambiamenti, negli ambiti della vita quotidiana e privata o in quelli più pubblici, matematici e statistici, economisti, ingegneri ed informatici, ricercatori e ricercatrici del mercato azionario, del mondo della speculazione finanziaria e dello sviluppo economico e sociale. Voros, a proposito di futuro, preferisce usarne il plurale, parlare di futuri potenziali alternativi e, questo, è anche ciò che noi suggeriamo di fare facendo orientamento, premettendo anche qui che non si tratta di fare e ricercare previsioni ‘da azzeccare’.

3) Coloro che sono autenticamente interessati ai futuri accettano prima di tutti i tre presupposti a questo tipo di riflessione come quelli che Amatara (1981) aveva considerato alla stregua di altrettanti principi e premesse a qualsiasi riflessione e considerazione in materia. Riprendendo questo lavoro Voros parla esplicitamente della necessità di rispettare, argomentandole, tre ‘leggi’:

a) La prima si riferisce al fatto che ciò che accadrà non è predeterminato. Come sostiene il principio di indeterminazione di Heisenberg, gli eventi futuri possono assumere specificità diverse e, questo, per diverse e non anticipabili ragioni… perciò oltre a non esserci un singolo e predeterminato futuro, ma potenzialmente infiniti ed alternativi futuri, ha poco senso chiedere di anticiparne uno e circoscriverlo, come spesso si fa nell’orientamento, alle scelte scolastiche e lavorative.

b) La seconda sostiene che i futuri non sono prevedibili con certezza in quanto è impossibileraccogliere tutte le informazioni e i dati che potrebbero influenzarli e farli evolvere verso alcune direzioni piuttosto che altre (l’influenza delle amicizie future sull’apprendimento e il benessere psicologico, la diversa attrattività di questo o quell’insegnante sull’interesse nei confronti di questa o quella disciplina, la propensione ad investire molto o poco nella formazione, lo status socioeconomico e le sue fluttuazioni possibili, lo stato di salute proprio e altrui, la presenza di eventi inattesi e così via). Se desideriamo occuparci di futuro dobbiamo allenarci a tollerarne diversi, rassegnarci a scegliere tra i molti e potenziali futuri alternativi.

c) I risultati futuri, ciò che accadrà, potrà essere influenzato dalle nostre scelte nel presente. Si tratta di possibilità, non di certezze stando anche a quanto affermato dalle due regole precedenti. Ciò significa, però, che il nostro modo di agire e comportarci nel presente potrebbe dar forma a futuri diversi e, anche se non siamo in grado di determinare quale futuro si concretizzerà, questo poter pensare di poter esercitare una qualche influenza, può farci guardare lontano con un certo ottimismo e considerare importanti le scelte, le decisioni i comportamenti che attiviamo nel presente o che abbiamo già da tempo assunto. Il futuro, i futuri, da sostantivi diventano verbi, indicano azioni, impegni e compiti da assumere, intenzioni, propositi da perseguire e rendono necessariamente attiva e votata al cambiamento anche qualsiasi sessione di lavoro di orientamento in quanto ogni scelta, ogni azione, dovrebbe essere realizzata con saggezza in quando non sarebbero prive di conseguenze.

Queste tre ‘leggi’ ci portano innanzitutto a concludere, ed anche questo è importante per l’orientamento’, che se da un lato non possiamo prevedere ed anticipare in modo preciso, non possiamo esimerci dalla responsabilità di ciò che accadrà a noi e a coloro con i quali ci troveremo ad agire, al nostro e all’altrui contesto anche futuro e naturale di vita. Dobbiamo, in altre parole, assumerci la responsabilità del futuro che, tra quelli possibili, ci troveremo di fatto a vivere, a trasformare in presenti dovuti anche alle azioni compiute e governate da quei ‘riferimenti’, anche valoriali, che riusciremo a mettere in atto. In modo più esplicito, e questo a nostro avviso dà forza e valore anche all’orientamento, come Voros anche noi riteniamo che i comportamenti che attiviamo e le scelte che operiamo nei nostri presenti possano ridurre lo spettro delle possibilità ed influenzare, pertanto, ciò che deve ancora avvenire mentre, di contro ci troveremo a dover ammettere che nulla ci è possibile a proposito di ciò che è già stato. Per questo è importante l’orientamento e riflettere sui futuri (Voros, 2003a) riprendendone almeno alcuni di quelli che derivano dalla classificazione proposta da Henchey (1978):

  1. Futuri possibili.In questo raggruppamento potremmo includere tutti i tipi di futuro che possiamo riuscire ad immaginare, quelli che ‘potrebbero accadere’ a prescindere di quanto inverosimili, improbabili possano apparire. Potrebbero richiedere conoscenze, strumenti e tecnologie che, oltre a non possedere, potremmo addirittura non riuscire nemmeno ad immaginare come molte di quelle che sembrano oggi contrastare le nostre argomentazioni logiche e, addirittura, le stesse leggi che le scienze ci indicano oggi come non trasgredibili. Si tratta di futuri che possono dipendere dall’esistenza e dalla fruibilità di conoscenze che ancora non possediamo, ma che non possiamo escludere, che potrebbero essere disponibili in futuro e rendere così realizzabili quei futuri che oggi potremmo considerare inverosimili a causa delle nostre attuali carenze a livello di conoscenze e saperi.
  2. Futuri plausibili. Questa classe comprende quei futuri che ‘potrebbero accadere’ (che non sono cioè da escludere) in base alle nostre conoscenze attuali. Derivano dalla nostra comprensione delle leggi fisiche, dei processi, della causalità, dei sistemi di interazione umana, ecc. Questo è chiaramente un sottoinsieme rispetto alla categoria di quelli possibili in quanto si baserebbero su conoscenze e dati ‘presenti’ di cui, alcuni almeno, possono o potrebbero disporre.
  3. Futuri probabili. Questa classe si riferisce alle anticipazioni che sono abbastanza facilmente praticabili considerando le tendenze che già si intravedono nel presente. Alcuni di questi futuri, sulla base della ‘robustezza’ delle tendenze enfatizzate, possono essere ritenuti più probabili di altri, essere a più breve termine ed attirare le simpatie soprattutto di coloro che temono marcatamente il rischio. Alcuni futuri probabili sono considerati più probabili di altri; quello considerato ‘meno incerto’ è spesso chiamato ‘business-as-usual’, un futuro, cioè che richiede solamente un’ordinaria amministrazione, un agire rutinario, un fare come si è sempre fatto, essendo una semplice estensione lineare del presente. Tuttavia, le tendenze, comprese quelle che appaiono molto probabili, sbiadiscono man mano che cerchiamo di riproiettarle nel tempo (dopo qualche anno o un decennio come molti sostengono) segnando evidenti segni di discontinuità. Alcune tendenze possono svanire improvvisamente, mentre nuove possono emergere inaspettatamente. Considerare solamente le tendenze e quelle più robuste (cosa richiedono ad esempio oggi i mercati di una circoscritta realtà locale) fornisce maggior certezza al gioco previsionale, ma circoscrive massicciamente le possibilità rispetto ai due precedenti futuri.
  4. La quarta tipologia di futuri, invece di basarsi sulle informazioni disponibili, sui dati più o meno big che potrebbero essere raccolti e processati da algoritmi sofisticati con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, fa riferimento a componenti meno cognitive riferendosi esplicitamente a ciò che si desidererebbe accadesse. I futuri preferibili, infatti, traggono linfa dalle emozioni, dalle aspirazioni, dai valori, dagli interessi e delle preferenze che possono essere anche marcatamente eterogenee e variare da una persona all’altra, da un gruppo all’altro, da un momento all’altro. Si tratta, di fatto, di futuri che si basano sulle soggettività e singolarità delle persone, che derivano dai giudizi di valore che esse nutrono e che, a volte, riescono persino ad esprimere ed assertivamente difendere. La variabilità dei futuri desiderabili è pertanto piuttosto ampia ed è improbabile che la scelta di una gamma ristretta di futuri preferibili venga di fatto gradita da gruppi diversi di persone, data la gamma dei futuri decisamene ampia e variegata di cui sarebbero portatori. Per questo non hanno senso molte ‘linee guida nazionali’, standards minimi: i futuri desiderabili richiedono approcci e percorsi personalizzati, non modalità preconfezionate o ‘buone pratiche’ che dovrebbero funzionare per tutti e tutte e in ogni contesto. I futuri preferibili, inoltre, e questo li rende particolarmente interessanti ed intriganti per chi fa orientamento, possono trovarsi collocati in ciascuna delle classi precedenti ed apparire pertanto e al contempo, probabili, plausibili e possibili, ma, allontanandosi consapevolmente da quelli indesiderabili, potrebbero offrire all’umanità ulteriore fiducia nelle sue possibilità di sviluppo e sopravvivenza.

La figura 1 mostra una rappresentazione grafica di questi quattro tipi di futuri alternativi, usando una metafora ben nota del cosiddetto ‘cono dei futures’. La figura, oltre a far riferimento agli scenari che potrebbero comparire nel regno del plausibile, segnala anche la presenza delle cosiddette Wild Cards – eventi a bassa probabilità (e pertanto collocabili al di fuori del dominio del futuro probabile) che potrebbero far registrare impatti decisamente elevati e spesso molto preoccupanti (una pandemia non prevista, l’impatto di un asteroide sulla terra, un ‘incidente atomico, una carestia generalizzata, ecc.).

Fig. 1. Adattatamento di Voros del cono dei futuri di Hancock & Bezold (1994).

La figura 1 suggerisce anche che l’ampiezza degli scenari che potremmo associare ai vari futuri possono variare notevolmente ed andare da quelli quasi infiniti dei futuri possibili, a quelli più ristretti e lineari dei futuri probabili. Tra quelli plausibili, in ogni caso, rientrano anche quelli desiderabili che un orientamento votato alla prevenzione, all’inclusione e alla realizzazione di sviluppi sostenibili per tutti e tutte e i loro contesti naturali e sociali di vita, dovrebbe considerare con particolare attenzione e dedizione.

Bibliografia

  • Amatara, R. (1981). The futures field: Searching for definitions and boundaries, The Futurist, vol. 15,1, pp. 25-29.
  • Hancock, T., Bezold, C. (1994). Possible futures, preferable futures, Healt Care Forum Journal, 37, 2, pp. 23-29.
  • Soresi, S. (2022) L’orientamento inclusivo per un futuro equo e sostenibile. In Pavone, M., Arenghi, A., Borgonovi, E., Ferrucci, F., Genovese, E., Pepino, A., Un ponte tra università e mondo del lavoro per l’inclusione e la vita indipendente, Milano, Franco Angeli, pp. 35-50.
  • Soresi, S. (2023) L’orientamento 5.0: …quello che non si accontenta di valutare e profilare, La Nuova Scuola, in press.
  • Voros, J. (2003). A generic foresight process framework. Foresight, 5, 3, pp. 10-21.
  • Voros, J. (2003a) Reframing environmental scanning: A reader on the art of scanning the environment, Australian Foresight Institute Monograph Series, No.4, Swinburne University Press, Melbourne.
  • Voros, J. (2017). The Futures Cone, use and history. The Voroscope, February 24.