‘Linee guida’ per un orientamento difficile

a cura di Salvatore Soresi, Università di Padova

Si ringrazia Scuola7 per l’autorizzazione alla pubblicazione dell’articolo

Introduzione

Sono soprattutto quattro le sollecitazioni ci hanno portato ad intitolare in questo modo il contributo che segue:

  1. La prima è dovuta a tanti comunicati sul successo che secondo il Ministero del merito, starebbero facendo registrare nelle scuole e nelle Università le iniziative di orientamento ‘guidate’ dalle famose linee guida e sostenute dai fondi del PNRR e una serie di ossequiosi commenti positivi che stanno invadendo le scuole a firma di tanti dirigenti scolastici e docenti universitari impegnati in queste sedicenti ‘sperimentazioni’;
  2. La seconda suggerisce di leggere attentamente quelle ‘nuove’ linee guida prima di tentare di realizzarle in quanto, sottoponendole ad un’analisi testuale con l’ausilio del software TalTac2 (Trattamento Automatico Lessicale e Testuale per l’Analisi del Contenuto), emergerebbero una serie di messaggi, più o meno latenti, che dovrebbero preoccupare molto chi è interessato all’educazione al futuro e ad un orientamento non dipendente dalle lusinghe dei mercati e delle amministrazioni centrali europee e nazionali.
  3. La terza è associata alla rilettura di un articolo del 1974 al quale allora non avevamo attribuito la rilevanza che oggi desideriamo riconoscergli, proprio perché già allora si precisava che il ruolo di coloro che si interessano di questioni complesse, come quelle della scelta e della progettazione professionale, a livello di ricerca o di intervento professionale, dovrebbero guardarsi bene dall’offrire scorciatoie e semplificazioni, rinnegando in tal modo il loro ruolo che dovrebbe essere invece quello di rendere ‘difficile’ ogni tentativo di raggiramento della complessità insita in quei processi.
  4. La quarta stimolazione è stata offerta dalla lettura del Manifesto che Glăveanu (2023) ha presentato, scrivendo l’editoriale di una nuova rivista internazionale dedicata proprio ai Possibility Studies nel quale abbiamo riscontrato molte consonanze con quel modello 5.0 che abbiamo già presentato in diverse occasioni (Soresi, 2022, Soresi e Nota, 2023)

Con le pagine che seguono desidero condividere l’idea che ci sarà ancora un futuro per l’orientamento e per le discipline in esso coinvolte solamente se avrà il coraggio di presentare le proprie visioni e pratiche come complesse, difficili da realizzare come chiederebbe la necessità della personalizzazione e della precocità di quegli interventi che desiderano perseguire l’obiettivo di incrementare per tutt* il ventaglio delle possibilità di vivere in contesti futuri inclusivi e rispettosi dei principi fondamentali della giustizia e del benessere sociale e naturale.

Le parole, i costrutti e la visione dell’orientamento nelle nuove Linee Guida per l’orientamento.

Come ho già approfondito in altre sedi (Soresi, 2023, Nota et al. 2023) la definizione di orientamento proposta dalle nuove Linee Guida per l’orientamento, sa, innanzitutto, di molto antico in quando afferma che ‘l’orientamento è un processo volto a facilitare la conoscenza di sé, del contesto formativo, occupazionale, sociale, culturale ed economico di riferimento….’. Il richiamo alla nostra memoria di quanto diceva Parsons, a cavallo tra il 1800 e i primi anni del ‘900 è stato immediato dal momento che già il padre dell’orientamento e ai tempi della transizione di decine di migliaia di persone dalle campagne alle industrie 1.0 di Boston, scriveva in quello che sarebbe stato considerato come il primo manuale dell’orientamento: “l’orientamento consiste essenzialmente nell’aiutare le persone ad effettuare ‘scelte oculate’ tramite ‘ (1) una comprensione chiara di se stessi, delle proprie attitudini, delle proprie capacità, dei propri interessi, delle proprie ambizioni, delle proprie risorse, dei propri limiti e delle loro cause; (2) la conoscenza dei requisiti e delle condizioni di successo, dei vantaggi e degli inconvenienti, delle remunerazioni, delle opportunità e delle prospettive future dei diversi tipi di attività; (3) un ragionamento attento sulle relazioni tra queste due classi di fattori”.

Qui, certamente, non compariva la parola ‘competenze’ che sarà diffusa alla fine degli anni ’40 dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), ma, in compenso, si parlava di interessi ed ambizioni, di prospettive future, di remunerazioni e di ragionare sulle relazioni esistenti tra i fattori individuali e quelli contestuali attribuendo di fatto a questi ultimi la responsabilità delle condizioni di successo, dei vantaggi e degli inconvenienti, delle remunerazioni, delle opportunità e delle prospettive future.

Già in precedenza abbiamo avuto modo di analizzare le nuove Linee guida per l’orientamento a partire dalle tesi del Keidanren (Japan Business Federation) del 2016. Noi saremmo, cioè, in presenza di un testo allineato con l’ottimizzazione dei modelli di business e del pensiero economico che, secondo molti, sono le cause profonde delle minacce che ora dobbiamo affrontare (…) come rimuovere le barriere fisiche, amministrative e sociali che si frappongono all’autorealizzazione delle persone in modo che ogni individuo, compresi gli anziani e le donne possa vivere una vita sicura e protetta, confortevole e sana e realizzare lo stile di vita desiderato” (Keidanren, 2016, pp. 10-12). A questo si aggiunge l’analisi testuale effettuata con il software TalTac2 (Trattamento Automatico Lessicale e Testuale per l’Analisi del Contenuto) controllando la frequenza di comparsa di alcune espressioni che sono molto care a coloro che considerano l’orientamento essenzialmente in termini di dispositivo di prevenzione, di sviluppo sostenibile e giustizia sociale. Eccole con la frequenza con cui compaiono nelle linee guida:

  • Progresso: 0 volte
  • Crescita: 0 volte
  • Pensiero critico o prospettico: 0 volte
  • Partecipazione: 0 volte
  • Innovazione: 1 volta con riferimento all’introduzione del portfolio (!)
  • Supporti: 0 volte
  • Sviluppo sostenibile: 0 volte
  • Giustizia sociale: 0 volte
  • Soddisfazione personale: 0 volte
  • Futuro: 0 volte
  • Voci bibliografiche: 0
  • Richiami ad altri documenti burocratico/amministrativi: 24

Studiare e praticare orientamento puntando all’incremento di comparsa dei termini e dei costrutti di cui sopra è sicuramente difficile, impegnativo in quanto sarebbero necessarie visioni e sistematiche collaborazioni multi ed interdisciplinari per incrementare le capacità delle persone e dei contesti a proposito di come approcciare in modo resiliente le minacce che da tempo si intravvedono. Fare orientamento muovendosi intenzionalmente secondo queste prospettive significherà sicuramente mettere in cantiere processi di scelta e di progettazione professionale difficili, in quanto si tratterrà anche di suscitare e anticipare le preoccupazioni e le sfide di cui ci si dovrebbe anche precocemente prendere cura se si intende effettivamente intraprendere un viaggio che porterà a guardare lontano. E questo è persino difficile da immaginare, sebbene necessario per evitare quelle tragedie e quei disastri che avrebbero elevate probabilità di verificarsi.

L’orientamento che si auspica richiede necessario insegnare a pensare a lungo termine, a collegarsi a ‘movimenti’ economico-finanziari e sociali non interessati al mantenimento dello status quo e a seguire unicamente le previsioni a breve e brevissimo termine. Chi fa orientamento oggi, in altri termini, non può guardare troppo spesso ‘indietro’, ai passati, ai precedenti, alle ‘reputazioni’ delle persone e dei contesti e limitarsi a certificare e consigliare, dovrà utilizzare procedure in grado di attivare, in particolare, gli sfiduciati e quanti considerano il proprio futuro già deciso e scritto.

L’orientamento dovrebbe rendere ‘difficile’ ogni tentativo di raggiramento della complessità insita nei processi di scelta e progettazione dei futuri

L’altra sollecitazione che ha ispirato questo contributo deriva da una rilettura di un saggio che oltre 50 anni fa aveva scritto Maxine Greene (1977) che, parlando delle discipline umanistiche, sosteneva che il loro obiettivo doveva essere quello di ‘rendere la vita più difficile e non più facile’. Green inizia le sue riflessioni affermando che a pensarla così era stato Kierkegaard il quale era arrivato persino a dire che, per comprendere la vita, si debbono rendere le cose più difficili e creare ovunque delle difficoltà. Non sarebbe male, a nostro avviso, aprire un laboratorio di orientamento per gli student* delle secondarie di secondo grado, partendo dalle stesse parole che Green (1997, pag. 119) utilizza per presentare al riguardo il pensiero di questo grande filosofo: In un ironico resoconto di come ‘divenne uno scrittore’, Søren Kierkegaard si descrive vedendosi, nel 1846, seduto in un giardino di Frederiksberg una domenica pomeriggio a chiedersi cosa avrebbe fatto della sua vita. Ovunque volgesse lo sguardo, pensò, gli uomini pratici si preoccupavano di rendere la vita più facile alle persone. Quelli considerati i ‘benefattori dell’epoca’ sapevano come migliorare le cose “rendendo la vita sempre più facile, alcuni con le ferrovie, altri con gli omnibus e i battelli a vapore, altri con il telegrafo, altri con compendi facili da apprendere e brevi riassunti di tutto ciò che valeva la pena conoscere, e infine i veri benefattori dell’epoca… quelli che rendono l’esistenza spirituale sistematicamente sempre più facile…”. In quell’occasione Kierkegaard avrebbe deciso, “con lo stesso entusiasmo umanitario degli altri”, di rendere le cose più difficili, “di creare difficoltà ovunque” (Kierkegaard, 1947, p. 194).

La ‘conclusione’ di Kierkegaard, continua Green, incominciava di fatto ad essere condivisa da molti pensatori interessati al benessere del presente e del futuro come, ad esempio, a tanti kilometri di distanza, da quell’accademico statunitense Henry David Thoreau (1817-1862)[1] che da molti è oggi considerato un precursore dell’ambientalismo, della nonviolenza e dell’attivismo e che è stato ritenuto da Cavell (2005), una delle «menti filosofiche più sottovalutate che l’America abbia mai prodotto».

In effetti parlare come faceva lui in quegli anni, della necessità di risvegliare le persone dalla sonnolenza e dall’agio, e rendere loro addirittura la vita più difficileportandole a scoprire per che cosa stessero vivendo, liberandosi dal sonno e dalla ‘quieta disperazione’, non doveva essere stato accolto con particolare entusiasmo. Thoreau, in effetti, auspicava una vita veramente morale e, tutto questo, senza porre prescrizioni, ma unicamente cercando di far scoprire a tutti cosa significhi, come lui diceva, ‘vivere deliberatamente’ o, come diremmo oggi, dando spazio alle visioni prospettiche e ai processi di coscientizzazione, al diffondersi di una maggior consapevolezza critica nei confronti di ciò che sta accadendo o potrebbe accadere in futuro.

La causa di questo ‘malessere della civiltà’ di cui parlava anche Heilbroner (1974), va associata alla constatazione di non essere in grado di perseguire e garantire a tutti nemmeno un miglioramento materiale a causa dell’evolversi dell’era industriale e tecnologica che stava già producendo (e siamo ancora in epoche di transizione tra la prima e la seconda rivoluzione industriale!) elevate preoccupazioni per la spersonalizzazione, l’automazione e la blanda routinizzazione della vita. Per Heilbroner, la realtà umana – la realtà vissuta – poteva essere intesa solo come una libertà difficile, anzi terribile. Rendere le cose più difficili per le persone significava risvegliarle alla loro libertà. Significava comunicare loro in modo tale che diventassero consapevoli del loro ‘modo personale di esistere”, della loro responsabilità come individui in un mondo mutevole e problematico.

Leggere queste poche righe ad un gruppo di adolescenti interessati ad approfondire le tematiche che oggi pongono quanti parlano di società liquida, di Industria e Società 4.0, può far comprendere subito che con i laboratori di orientamento, non si stanno cercando scorciatoie per togliersi il pensiero del domani. Di contro, proponendo percorsi che attraverso la riflessione e la partecipazione potranno dimostrare quanto sia importante impegnarsi in azioni di orientamento perché le persone, i contesti e i loro passati, presenti, e futuri si presentano come marcatamente eterogenei e diseguali e, se si desidera leggerli bene, vanno trattati come ‘testi’ e scenari difficili in quanto diversi e complessi.

Se l’orientamento rinuncia a far questo accontentandosi di ‘certificare quanto già accaduto’, è certamente più facile da realizzare in quanto si tratta solamente di compiere valutazioni che, con un apparente smalto di ‘neutralità’ ed oggettività, si propongono di indirizzare direttamente e di accompagnare le persone verso luoghi (scuole ed ad attività produttive) già esistenti e situate senza attirare la loro attenzione sugli impatti che tutto ciò avrà sulla qualità della loro esistenza futura.

Per praticare un orientamento difficile e complesso, come ad esempio suggeriva già oltre un decennio fa, Jill Westhorp (2012), si dovrebbe coerentemente ed esplicitamente valorizzare:

a) l’eterogeneità degli ambienti di vita e dei diversi protagonisti; la possibilità, dinamicità e suscettibilità dei cambiamenti prevedendo modalità personalizzate;

b) le interazioni e le interdipendenze tra le diverse azioni e i diversi attori, che oltre ad essere previste, frequenti e adeguatamente incoraggiate, possano essere anche oggetto di partecipate e condivise processazioni, modificazioni e ritrasmissioni;

c) tutte le diversità e vulnerabilità, da quelle ascrivibili alle singole persone, alle loro relazioni e alle loro comunità, a quelle relative all’anticipazione di futuri e alla costruzione e stesura di piani e progetti.

d) il guardare più in là possibile accettando la frustrazione derivante dalla consapevolezza che, man mano che le proprie analisi e riflessioni si allontanano dal presente, tenderà necessariamente a diminuire l’accuratezza delle previsioni ed anticipazioni che si possono compiere;

e) il non accontentarsi di classificazioni, valutazioni, predizioni, ma avviare progettazioni, costruzioni, pensieri ‘strategici’, attivismi, inclusione e partecipazione;

f) la valorizzazione delle tematiche dell’educazione e dell’apprendimento delle competenze necessarie alla scelta e alla progettazione dei futuri utilizzando gli strumenti utili per immaginare e ragionare, oltre che a proposito dei ‘futuri presenti’ (quelli relativi a ciò che potrebbe accadere tra uno, due, tre anni), anche dei futuri prossimi (tra circa dieci anni) e, perché no, dei futuri remoti, dei futuri-futuri (tra 20, 30, 50 anni);

Un ulteriore incoraggiamento a parlare di orientamento difficile ci è stata offerta dalla lettura del Manifesto che Glăveanu (2023) ha pubblicato scrivendo l’editoriale di una nuova rivista internazionale dedicata proprio ai Possibility Studies. I principi di riferimento sono 15 e ci sono apparsi subito molto pertinenti con quanto anche noi poniamo alla base dell’orientamento 5.0. Qui, per ragione di spazio, ne citiamo solo alcuni e lasciamo ai lettori di questo scritto il compito di rintracciare le congruenze con quando già riassunto nelle pagine precedenti e con il nostro modello 5.0 dell’orientamento:

    – il “locus” della possibilità non è la mente, ma lo spazio relazionale di azione e interazione tra la persona e il mondo.

    – Il possibile si intreccia con il reale. Distinguere ‘ciò che è’ (l’attuale) e ‘ciò che potrebbe essere’ (il possibile) può essere fuorviante in quanto il possibile e l’attuale sono intrecciati se li consideriamo temporalmente: si alimentano e si trasformano continuamente a vicenda nel corso dell’azione. La tensione dialogica tra l’attuale e il possibile è il nostro punto di partenza per lo sviluppo teorico e l’esplorazione empirica.

    l’incontro con l’impossibilità non riduce necessariamente il possibile. Può anche essere una fonte di ispirazione, un innesco per la necessità di superare i nostri attuali confini. Il nostro rapporto con il possibile si fonda sull’azione nel e sul mondo. Ciò significa anche che è mediato da una varietà di strumenti materiali e simbolici, tra cui una serie di tecnologie. In quanto tale, la cultura umana è sia l’origine che il risultato del nostro impegno con il possibile. I processi culturali ci aiutano, in questo senso, a navigare, come individui e comunità, nella relazione tra ciò che è, ciò che non è ancora, ciò che potrebbe essere e ciò che non sarà mai. Gli sviluppi tecnologici… possono essere usati come finestre verso futuri possibili.

    Il possibile si fonda sulla differenza. Le differenze e le molteplicità sono una condizione necessaria – ma non sufficiente – per coinvolgere il possibile (…) Le menti e le società definite dalla diversità e dal dialogo sono, di conseguenza, aperte a nuove possibilità (…) i discorsi sulle possibilità umane non dovrebbero essere eurocentrici o occidentali-centrici, ma invitare attivamente esperienze e idee che nascono dalla decolonizzazione come una posizione da cui possiamo attivamente re-immaginare noi stessi, gli altri e il mondo.

    Le esperienze del possibile sono molteplici. Diventare consapevoli di ciò che è possibile e valutare comparativamente le varie possibilità va oltre i processi cognitivi e neurologici. Il possibile coinvolge l’intero essere e soprattutto ha una forte dinamica motivazionale ed emotiva. Le esperienze del possibile sono infuse dall’affetto, dalla speranza e dalla curiosità all’ansia, al rimpianto e all’eccitazione per nuove possibilità. Seguono anche una struttura narrativa in cui le scelte e le opportunità sono rese intelligibili collocandole all’interno di storie più ampie di chi siamo e di chi stiamo diventando.

    – I fenomeni legati alla possibilità dovrebbero essere studiati come sistemi. Le esperienze del possibile richiedono un ampio ecosistema che includa attori umani e non umani e il loro entanglement. L’agentività, considerata in modo sistemico, è meglio definita come co-agenzia poiché la scoperta e l’esplorazione del possibile dipende dalla relazione tra persona e ambiente piuttosto che da uno qualsiasi dei due isolatamente. La natura è importante quanto la cultura per spacchettare la dinamica del possibile.

    Le esperienze del possibile trasformano il sé. Il fatto che gli esseri umani possano fingere che le cose non siano ciò che sono, re-immaginare il passato, immaginare futuri multipli e concepire l’impossibile, sono tutte esperienze trasformative.

    – Il possibile è politico in quanto è innegabile che intorno a chi è teso a scoprire nuove possibilità, esistono norme, valori e ideologie e che negare o restringere tali opportunità è un atto politico.

    – Lo studio del possibile richiede metodologie diverse e creative. In molti campi, i metodi quantitativi sono preferiti e l’enfasi è posta sui test psicometrici (dei tratti correlati alla possibilità) e sui disegni sperimentali (cambiamento degli stati correlati alla possibilità). Altre discipline utilizzano indagini qualitative approfondite, spesso fondate sulla tradizione discorsiva o fenomenologica. Ciò che è necessario è un approccio trans-disciplinare: un insieme più ampio di metodi, un dialogo più coerente tra le metodologie, nonché scelte metodologiche nuove e creative che rendano giustizia alla complessità dei fenomeni oggetto di studio.

     – Le pedagogie del possibile sono una necessità educativa. Le forme tradizionali di educazione, incentrate su obiettivi standardizzati, uniformità nell’insegnamento e uniformità dei risultati, sono sempre più riconosciute come inadatte alle sfide (e alle impossibilità) di oggi. Vivendo in ambienti incerti, complessi e difficili, definiti da un rapido ritmo di cambiamento, la nostra responsabilità è quella di educare individui e comunità ad immaginare e mettere in atto nuove possibilità in modo riflessivo, proattivo ed etico. L’educazione del ventunesimo secolo deve raccogliere la sfida di aiutare gli studenti e gli insegnanti ad andare oltre il mondo com’era e com’è e arricchirlo con l’immaginazione di come ‘può e dovrebbe essere’.

    Anche se difficile da realizzare, l’orientamento è chiamato a fare la sua parte stimolando a leggere il presente e ad immaginare, tra i futuri possibili, quelli maggiormente auspicabili e desiderati. L’orientamento, come l’educazione e l’istruzione, dovrebbero, in altre parole, trasformarsi in processi in grado di invogliare a vedere ciò che sta accadendo e potrà accadere in modo nuovo rimanendo, come diceva ancora la Green, aperti a incontri nuovi e reciproci, riconoscendo il potenziale di cambiamento presente in ognuno di noi e i nostri sforzi. L’orientamento opera aperture alle possibilità e quest’impresa oltre a non essere facile da realizzare non può certamente essere intrapresa tardivamente (nelle scuole secondarie di primo e secondo grado) con alcuni ‘moduli’ e qualche piattaforma!

    Riferimenti bibliografici

    Cavell, S. (2005) Cities of Words: Pedagogical Letters on a Register of the Moral Life, Cambridge (Massachusetts), Harvard University Press, 2005, pp. 12-13.

    Glăveanu (2023). Possibility Studies: A manifesto. Possibility Studies & Society, 1, 1-2, pp 3-8-

    Greene, M. (1977 “Towards Wide-Awakeness: An Argument for the Arts and Humanities in Education, Issues in Focus, The Humanities and the Curricuum, vol. 79, 1, pp 119-125).

    Heilbroner, R. (1974). An Inquiry into The Human Prospect. New York: W.W. Norton.

    Keidanren (2016). Toward Realization of the New Economy and Society: Reform of the Economy and Society by the Deepening of ‘Society 5.0’, Japan Business Federation, April 19.

    Kierkegaard, S. (1947) “Concluding Unscientific Postscript to the ‘Philosophical Frag- ments,” ” in A Kierkegaard Anthology, ed. Robert Bretall (Princeton, NJ.: Princeton University Press, 1947).

    Nota L. – Soresi S. – Ginevra M.C. – Santilli S. – Di Maggio I., (2020). Sustainable Development, Career Counseling and Career Education , Springer, London.

    Parsons, F., Choosing a Vocation , Houghton Mifflin, Boston 1909.

    Soresi (2023). A proposito delle innovazioni introdotte nelle nuove linee guida per l’orientamento. Nuova Secondaria, 7, XL, pp. 170-177.

    Soresi S. e Nota L., (2023). L’orientamento 5.0. …quello che non si accontenta di valutare e profilare, Nuova Secondaria, 4 , XLI, 134-146.

    Westhorp, G. (2012) Using complexity-consistent theory for evaluating complex systems. Evaluation 18, 405– 420.


    [1] Ha influenzato il pensiero di moltissime persone, da Gandhi a Martin Luther King e si è impegnato in prima persona ad aiutare gli schiavi afroamericani a fuggire dagli USA tramite una ferrovia sotterranea per raggiungere il Canada.