Laura Nota: ambasciatrice di inclusione e giustizia sociale. Storia di un corso universitario e di un percorso di ricerca e di vita

Si ringrazia Articolo21 per l’autorizzazione alla condivisione dell’articolo pubblicato sulla rubrica “Dalla parte di Lei”

Monica Andolfatto, giornalista e segreteria del Sindacato dei Giornalisti del Veneto, dialoga con la prof.ssa Laura Nota evidenziando il suo profilo, il suo lavoro e il suo impegno.

Monica Andolfatto: Ho conosciuto Laura Nota di persona lo scorso gennaio in occasione del ventennale di Articolo21 Sezione del Veneto, “Vent’anni al servizio della libertà, della verità e della giustizia”. Le abbiamo consegnato un premio speciale per il suo impegno fondato sui valori che contrastano le diseguaglianze, la disinformazione, la violenza, il linguaggio d’odio per la promozione di una società realmente inclusiva a partire dal mondo della formazione, così come in quello del lavoro, anche giornalistico; per il suo impegno fondato sull’idea che sia necessario lavorare per collegare l’informazione alla conoscenza e alla cultura nelle sue diverse discipline, alla formazione, alla comunicazione e alla politica: per una riflessione e un’analisi della società e del mondo capaci di ridisegnare le priorità dello sviluppo.

II Premio Nobel per la Pace per la prima volta è stato assegnato a due giornalisti: la filippina Maria Ressa e il russo Dmitry Muratov. Si legge nelle motivazioni: “La libertà di stampa e di espressione è la condizione preliminare per la democrazia e una pace duratura”. Era già apparso chiaro con la pandemia, lo è ancora di più oggi con la guerra vicino a noi.

«Reagire, contrapporsi a questa deriva sociale e culturale che in maniera subdola esalta l’individuo per indebolirlo, omologarlo, rinnegarlo. Serve ritrovare il senso della comunità, del noi, contro solitudine, separazione, isolamento. Serve fare squadra, rete, alleanze costruttive. Serve avere il coraggio di dire “non nel mio nome”. Serve capire che nessuno si salva da solo. Chi dice il contrario lo fa perché mira al potere, alla coercizione». E come sa fare squadra lei, nessuna. E nessuno.

Di Laura Nota colpisce lo sguardo. Attento, curioso e al contempo indagatore. Severo. Soprattutto generoso. Occhi sinceri e partecipi che guardano la realtà fatta di persone, di umanità, di condivisione. Occhi disincantati e intransigenti che fotografano con rigore scientifico, senza fare sconti a chicchessia o a chissà cosa, la medesima realtà nella complessità delle connessioni socio-economiche, culturali, storiche, tecnologiche.

Docente di psicologia all’università di Padova, originaria di Pordenone, sposata, una figlia, è esigente e intransigente prima di tutto con se stessa. Trasmette l’entusiasmo e lo sforzo di continuare a credere che se tutte e tutti ci mettiamo il nostro piccolo contributo, la società può migliorare nella direzione dell’inclusione e della giustizia sociale. L’università non si può sottrarre. E lo ha dimostrato in concreto.

Nel ruolo di Delegata del Rettore all’Inclusione e alla Disabilità, fra il 2015 e il 2021, non a caso ha avviato il progetto “Università inclusiva” (Università inclusiva | Università di Padova (unipd.it)), che proprio in questi giorni è stato reputato “eccellente” dall’Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur), nell’ambito dell’ultima Valutazione della qualità della ricerca (Vqr) “Terza missione”. Un riconoscimento importante e qualificato che premia il coinvolgimento di migliaia di persone in una rete via via sempre più ricca e articolata di docenti, personale tecnico-amministrativo, popolazione studentesca, stakeholder con la finalità di diffondere nella comunità accademica e nella società la cultura dell’eterogeneità, dei diritti umani, dell’equità, della giustizia sociale e della lotta alle discriminazioni.

Presidente della Società italiana per l’Orientamento (SIO) e Coordinatrice del Gruppo di lavoro Inclusione e Giustizia sociale della Rete delle università per lo sviluppo sostenibile (RUS), Nota di recente è stata coinvolta nella Commissione orientamento della conferenza dei Rettori delle università Italiane (CRUI), presieduta dal Rettore Pierpaolo Limone e nominata componente del Comitato tecnico scientifico del ministero per l’Università e la Ricerca per l’attuazione del Piano lauree scientifiche dei piani per l’orientamento e il tutorato.

“Dalla parte di lei” la chiama in causa, però, in qualità di Direttrice del corso universitario di Alta formazione “‘Raccontare la verità: come informare promuovendo una società inclusiva. Giornalismo di inchiesta sociale: ricerca e accuratezza antidoti alle fake news”, attivato nello stesso ateneo della città del Santo, nel solco dei percorsi di “Università Inclusiva”, all’interno del dipartimento di Filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata (Fisppa), in collaborazione con la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), i sindacati regionali dei giornalisti del Veneto e del Trentino Alto Adige e Articolo21, trovando il sostegno dell’Ordine dei giornalisti. Una formula innovativa che scommette in maniera consapevole sulla multidisciplinarietà e sull’intersettorialità e che in Italia rappresenta un unicum.

«La cronaca di questa avventura formativa che vede insieme due mondi spesso distanti, quello della ricerca e quello dell’informazione, è racchiusa nel volume pubblicato lo scorso aprile dal titolo “Aver cura del vero” e che comprende oltre a preziose riflessioni di colleghe e colleghi, anche i risultati della prima edizione del corso avviato nella primavera del 2021 a pandemia conclamata. Ciò che mi preme qui sottolineare – afferma Nota – è che in un contesto tanto difficile e incerto allora, e oggi ancor più con lo scoppio della guerra in Ucraina, abbiamo deciso di investire in cultura, in pensiero critico che per noi si coniuga con inclusione, giustizia sociale, diritti umani, pace, riduzione delle diseguaglianze Chi frequenta il nostro corso vede, fra le altre, valorizzata la dimensione dell’ascolto e della riflessività ».

Di una schiettezza che appare sfacciata solo a chi non sa cosa significhi essere leale e onesto intellettualmente, Nota dichiara subito da che parte sta, senza nascondersi dietro a facili convenienze o a sterili ipocrisie. No, non è velleitarismo o ingenuità, bensì rispetto e considerazione dell’altro. Reclamando altrettanto rispetto e altrettanta considerazione. Lo si intuisce all’istante che è una donna alla quale non è mai stato regalato o abbuonato nulla: fatica, determinazione, applicazione. Anni e anni di studio nei quali ha visto cambiare la società e chi la popola, sullo sfondo di una emancipazione femminile che appare sempre di là da venire, nella quale ci sono ancora troppe eccezioni che confermano la regola di un mondo coniugato per lo più al maschile.

Avverte subito che dietro ogni opportunità c’è anche un rischio, che dietro ogni presunto vantaggio c’è una “dark side”. E ti esorta a indossare occhiali in grado di decifrare la complessità che ormai fa parte del nostro quotidiano per essere liberi, o per lo meno consapevoli, di decidere, di scegliere. Ma arrendersi mai.

Una donna coraggiosa? Una docente illuminata? Nota rifugge dalle definizioni, dalle etichette, dalle categorizzazioni. Lo insegna alle sue studentesse e ai suoi studenti: uscire dalle gabbie mentali, sociali, culturali. Cerca di fornire loro gli strumenti adeguati. E ritorniamo al pensiero critico, al kit di attrezzi necessario per non affondare travolti dai “cigni neri”, dagli eventi negativi o per ignoranza o per pigrizia o per incapacità di reagire. Non dà risposte, ma stimoli: a riflettere, a porsi interrogativi, a educarsi all’ascolto.

«Viviamo in un periodo in cui siamo stati sfiancati dal covid, dobbiamo gestire le conseguenze, gli impoverimenti sociali e psicologici che si sono sposati con forme di logoramento personale e collettivo dovute a disuguaglianze, sfruttamento, individualismo sfrenato, competizione selvaggia, sfilacciamento dei diritti. Adesso, con i tempi di guerra, si aggiungono disprezzo per la vita, processi di deumanizzazione, visioni di macismo che portano con sé vulnerabilizzazione ulteriore di coloro che non si caratterizzano per i canoni bellici. Mi riferisco all’immagine della donna, di chi è anziano, dei bambini, delle persone con disabilità, di coloro che non hanno i soldi per scappare. Vengono esagerate le condizioni negative associate alle variabili che ho appena elencato. A tutto questo siamo esposti tanto noi tutte/i quanto le giovani generazioni».

«Covid, guerra. Problemi complessi, o wicked problem come li definisce il mio maestro Salvatore Soresi, che – continua Nota – fanno traballare l’impegno per pace, per l’inclusione, per l’equità, per la democrazia e stimolano atteggiamenti e modi di affrontare l’esistenza incentrati sulla paura, sulla via più facile per ottenere ciò che si vuole spesso basata su aggressività e sopraffazione; emerge la vecchia e sempre nuova legge del più forte. Con la diretta conseguenza che dilagano insicurezza e mancanza di speranza. In tale assenza apparente di orizzonte alcune persone, in ambito universitario e in ambito giornalistico, hanno avuto il coraggio di esprimere a voce alta una domanda tutt’altro che scontata: ha senso pensare al futuro? C’è spazio per un futuro diverso? È possibile migliorare questa società al di là del disorientamento e dello smarrimento? Insomma ha senso fare qualcosa?».

Sì ha senso fare qualcosa. Sì è possibile migliorare questa società superando disorientamento e smarrimento. Scommettendo nello sviluppo del pensiero critico, assieme al coraggio di concretizzarlo ad esempio con il corso di Alta formazione che dirige e che dal prossimo anno mutuerà il titolo dal libro: da “Raccontare la verità” ad“Aver cura del vero” a sottolineare l’azione, il mettersi in gioco in prima persona, come individui e nel confronto dialettico con i docenti e gli altri corsisti.

«La differenza la fanno le persone. Che si conoscono e riconoscono nello stesso patrimonio valoriale di – non si stanca di ripetere Nota – inclusione, giustizia sociale, diritti umani, pace, coniugato con le specifiche competenze, professionalità, esperienze. Le cifre di questo corso, o meglio del “laboratorio Padova”, che abbiamo messo in moto con l’apporto di tante e tanti, sono l’interdisciplinarietà e l’intersettorialità. C’è bisogno di tutte le discipline e della collaborazione appunto fra mondi diversi ricerca, giornalismo, comunicazione e anche della scuola (ndr. da quest’anno c’è un corso gemello con il coinvolgimento degli insegnanti) in una nuova visione della nostra vita lavorativa, del lavori, del nostro impegno professionale: c’è bisogno del supporto di tutti i lavori e di tutte le professioni, del contributo di tutte e tutti per costruire società in grado di uscire dal giogo della paura, della sopraffazione, dello sbandamento e dello spaesamento. E il corso nasce dalla condivisione di questa idea, rappresenta una espressione collettiva di persone che ci credono fino in fondo a partire da te Monica, da Roberto Reale e da Giuseppe Giulietti e dalle e dai componenti del comitato ordinatore e scientifico: questa è la sua forza».

Nota esce dalla dialettica riduttiva problema-soluzione e richiama di continuo la complessità che ci circonda e che ci plasma. Nella sua impostazione risulta basilare fornire gli “anticorpi” intellettuali per fronteggiare i fenomeni generati da questa complessità che sono essi stessi complessi. È convinta che chiunque rivesta un ruolo sociale identificato e identificabile, la/il docente, la/il giornalista, la/il sindacalista, il politico, l’amministratore pubblico, ecc., ha il dovere civico, la responsabilità civica di agire per costruire contesti inclusivi contro discriminazioni, diseguaglianze, ingiustizie.

Metterci la faccia a costo di rimettercela.

Ha l’onore e l’onere di insegnare nell’università che fu di Galileo Galilei, nell’università che ha visto laurearsi la prima donna al mondo (era il 1678, si chiamava Elena Lucrezia Cornaro, veneziana), nell’università che festeggia in questi giorni gli 800 anni di storia, sotto il motto universa universis patavina libertas, tutta intera, per tutti, la libertà nell’università di Padova.

Qual è il ruolo delle università in questo travagliato XXI secolo?

«Più che in passato – risponde Nota – le università hanno il compito e il dovere di promuovere una cultura nuova, di essere da modello e da stimolo per i contesti sociali e territoriali, affinché tutti possano comprendere che la sostenibilità, l’inclusione, la giustizia sociale non sono un “lusso” che coinvolge e impatta su pochi ma che possono e devono divenire opportunità per la promozione umana e sociale, veicolo essenziale attraverso il quale possano essere perseguiti e garantiti a tutti diritti, capabilities, inclusione, futuro. Sì, ci tengo anche a sottolineare futuro: e in questa ottica l’orientamento e la progettazione professionale, a cui dedico insieme all’inclusione la mia vita di ricercatrice, devono diventare strumenti di lotta alle disuguaglianze in linea con quanto già detto. Non possiamo più accettare mistificazioni, propagande spacciate per azioni di orientamento, offerte di soft skill per “adattarsi” ai lavori non dignitosi, o profilazioni che “attesteranno” sostanzialmente la vulnerabilità e intrappoleranno le persone a vita, o la ricerca del posto giusto che non c’è e che sempre più spesso è precariato a oltranza. Prendersi cura del futuro delle persone, fare orientamento di qualità necessita di formazione e preparazione, necessità del saper infondere pensiero critico pure nelle giovani generazioni, vision, valori, voglia di inclusione, diritti umani, sostenibilità, costruzione di senso, capacità di prendersi cura di se stessi e gli uni delle altre e del mondo, di dare il proprio contributo alla costruzione di società migliori».

Cosa significa per l’Ateneo di Padova fregiarsi del “titolo” di università inclusiva?

«L’inclusione non è un traguardo che si raggiunge una volta per tutte. Al contrario! È un percorso che si realizza giorno per giorno, giorno dopo giorno, coinvolgendo docenti, personale amministrativo, dai e dalle dirigenti, agli e alle assistenti, agli impiegati e alle impiegate, agli studenti e alle studentesse. L’inclusione, parafrasando Gaber, è partecipazione, è condivisione. Tutte e tutti devono sentirsi parte attiva e protagonista. Non è sempre facile. L’importante è non dare per scontato quello che a fatica si è raggiunto. Serve uscire da approcci imperniati sulla linearità causale, sempre più spesso semplicistica e riduttiva, e non in grado di far comprendere appieno cosa stia accadendo e quali saranno le conseguenze e gli effetti a breve e lungo termine».

Insomma l’università deve aprirsi all’esterno ed essere pronta a ricevere, interpretare, valorizzare gli stimoli e le sfide che la società tutta produce e consuma sempre più velocemente. Luogo di riflessione, elaborazione, sedimentazione e innovazione: al centro però la persona con i suoi diritti e i suoi doveri. Al riguardo viene in mente l’immagine proposta nel romanzo “L’iPhone di Amelie”, ambientato a Parigi, di Valeria Tonini, opera letteraria d’esordio di una fra le prime donne chirurgo e delle pochissime docenti universitarie nelle Scuole di specializzazione di Chirurgia generale. Tonini propone l’idea, affidata a una delle protagoniste del racconto, di lanciare un bando per la costruzione della nuova sede universitaria: un progetto avveniristico con un edificio dalle pareti di vetro, a sottolineare la necessità vitale di chi fa formazione di spalancare menti e spazi. Per avvicinare. Invece che respingere.

E l’informazione, le giornaliste e i giornalisti possono, e come, fornire un contributo? Se sì quale?

«Siamo nella società dell’informazione che se apre infinite possibilità di approvvigionarsi di notizie, queste possono essere verificate e attendibili, o false, manipolate, edulcorate. I giornalisti e le giornaliste sono fondamentali nel mediare tra i fatti e la loro narrazione mettendo in campo attendibilità e credibilità. Noi, nel corso, ricorriamo alla parola accuratezza per indicare la necessità di una formazione che non sia episodica bensì continua, che costa studio e fatica, “contaminata” da altre professionalità in ottica di crescita reciproca. L’arnese per eccellenza del giornalista è la parola, il linguaggio con cui si può veicolare stereotipi, pregiudizi, discriminazione, odio, violenza. Oppure inclusione, solidarietà, ponti fra culture distanti, equità sociale, dignità, rispetto dell’altro, senso di comunità».

Internet e i social hanno segnato per sempre la trasformazione radicale della professione giornalistica e della sua organizzazione del lavoro. Il precariato è esploso e gli attacchi a chi fa giornalismo e all’indipendenza e alla libertà di stampa sono in costante aumento.

«Il corso ha fatto emergere che è un male comune, il che non significa mezzo gaudio, sia chiaro. Voglio dire che i processi di precarizzazione, parcellizzazione, annacquamento dei diritti, hanno investito tutte le professioni, da quelle considerate “basse” a quelle “alte”, compresa la docenza universitaria. Confrontarsi, capire che non si è soli, e che unendo le forze si può reagire, è una formula attrattiva e per certi versi vincente».

Qualcuno potrebbe intenderla una sfida a metà fra supereroi e Don Chisciotte.

Sorride, riflette un attimo. «E se la definissimo una traiettoria di impegno per vivere e far vivere in condizioni più sostenibili e dignitose?». Una buona ragione per entrare in maniera attiva nel Laboratorio Padova.