A proposito di lavoro

di Maddalena Ascione

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Negli ultimi decenni i cambiamenti che hanno interessato e continuano ad interessare il mondo del lavoro sono numerosi ed hanno comportato una trasformazione radicale dello scenario entro il quale il lavoratore si muove; tali cambiamenti, di conseguenza, hanno modificato i bisogni a cui l’orientamento deve dare risposta e i modelli a cui fa riferimento. Di seguito verranno delineati i principali passaggi di tale evoluzione e verranno formulate alcune considerazioni a proposito dei possibili legami con la psicologia dell’orientamento.

Nella storia del lavoro moderno si possono individuare tre grandi ere: la rivoluzione industriale, il fordismo e il post-fordismo. In tutte e tre le epoche c’è stata una transizione storica da un modello di produzione e di consumo ad un altro e queste transizioni hanno ridefinito le relazioni industriali, vale a dire il rapporto tra capitale e lavoro. Ciò ha comportato una ridefinizione, sia del ruolo che delle caratteristiche del lavoratore e della sua formazione all’interno del sistema economico tanto che Accornero (2004; 2006) ha più volte affermato che il lavoro cambia, anzitutto, perché cambiano le strutture e il funzionamento delle imprese. Entrando un po’ più nel dettaglio dei cambiamenti intervenuti nei modelli di produzione e di consumo e delle relazioni industriali, va comunque sottolineato che questi non hanno riguardato contemporaneamente tutti i paesi.

La rivoluzione industriale

L’era della rivoluzione industriale (fine del XVIII secolo), segna il passaggio da un’economia agricolo-artigianale basata sulla terra, sulla fertilità naturale e supportata da esperienza pratica, ad un sistema industriale moderno caratterizzato dall’uso di macchine. La rottura dei legami corporativi che avevano caratterizzato le botteghe artigiane e il distacco dal lavoro agricolo hanno portato alla diffusione del lavoro salariato; si è così passati dalla fase in cui il lavoratore è proprietario degli strumenti e del lavoro necessari per produrre ad una nuova fase dove è il capitalista che detiene i mezzi di produzione ed il lavoratore vende il proprio lavoro per vivere. Nasce il mercato del lavoro. La produzione prevalente si sposta dal domicilio dei lavoratori o dai borghi rurali, all’interno delle fabbriche. È in questo scenario che agli inizi del novecento, grazie al lavoro di Frank Parsons nasce nel 1908 la psicologia dell’orientamento. Le idee di Parsons favoriscono la messa a punto di metodi per aiutare gli agricoltori e gli immigrati a cercare una nuova occupazione, che consistevano in sistemi di valutazione in grado di misurare gli interessi e le capacità degli individui e di suggerire delle occupazioni che corrispondessero a questi. Le sue idee costituiscono la base di quello che nella teoria e nella pratica professionale viene comunemente chiamato “modello dell’adattamento persona ambiente” (Solberg, Soresi, Nota, Howard, & Ferrari, 2007, p. 9). Alla base di questo modello vi è la convinzione che questi fenomeni sono costanti e immutabili, piuttosto che dinamici e che la stabilità caratterizza sia il lavoratore che il mondo del lavoro. Nel tempo è stato dimostrato che gli individui sono più dinamici, di quanto si riteneva e la globalizzazione e l’era dell’informazione hanno drasticamente modificato il mondo del lavoro.

L’epoca del taylorismo-fordismo

Nelle prime imprese industriali, caratterizzate da attività produttive di piccole dimensioni, sono ancora essenziali le capacità individuali e l’esperienza dei maestri operai di mestiere, prevale quindi ancora la cultura d’officina e di mestiere, il lavoro manuale e quello intellettuale fanno capo alla stessa persona. Con la scoperta e l’utilizzo di nuove tecnologie e nuove fonti di energia si verificano cambiamenti significativi nel funzionamento dell’economia e nell’organizzazione del lavoro. La produzione industriale, infatti, dovendo soddisfare le esigenze di un mercato di dimensioni sempre più grandi, si concentra nelle mani di aziende di grosse dimensioni: si assiste cioè o alla fusione di aziende forti con le più deboli (trust), oppure ad accordi tra aziende operanti nello stesso ramo produttivo allo scopo di eliminare la concorrenza (cartelli). Il lavoro diventa così sempre più standardizzato transitando da una produzione caratterizzata dall’elevata professionalità ad una produzione di massa basata su manodopera poco specializzata e meno costosa, dove i risultati qualitativi dipendono sempre meno dalle capacità dei singoli operatori e sempre di più dalla progettazione e dalla formalizzazione dei processi produttivi. Internamente alle imprese cambia man mano anche il modo di produrre e di organizzare il lavoro che non è più un’entità unica comprendente sia l’aspetto manuale che quello intellettuale.

Con la meccanizzazione spinta dei processi produttivi (in seguito all’introduzione della catena di montaggio) e la standardizzazione dei prodotti inizia l’era del taylor-fordismo e della cosiddetta organizzazione scientifica del lavoro. Le aziende assumono grandi dimensioni, aumentano la produzione, inondano i mercati di prodotti, hanno bisogno quindi di stabilità della manodopera e di elevare i redditi per favorire i consumi.
I principi dell’organizzazione scientifica del lavoro individuati da Frederick W. Taylor (1967, pp. 263-286) sono:

  1. lo sviluppo della scienza;
  2. la selezione e l’addestramento scientifico dei lavoratori e il loro progressivo sviluppo;
  3. la promozione di una costante collaborazione tra direzione e lavoratori.

Uno dei principi su cui si basava il “Management Scientifico” di Taylor (applicato poi da Henry Ford) consisteva nella rigida divisione fra lavoro intellettuale e manuale e nella parcellizzazione del lavoro manuale. Così scriveva Taylor: “L’attività di studio e di pianificazione della produzione spetta esclusivamente ad un apposito ufficio; il compito degli operai deve essere limitato all’esecuzione di mansioni predeterminate, scomposte con criteri scientifici in operazioni semplici e banali eseguite con utensili standardizzati ed in tempi cronometricamente stabiliti”. L’altro principio, che qui si vuole sottolineare, è quello della selezione e dell’addestramento scientifico dei lavoratori che afferma la possibilità di ottimizzare anche la combinazione mansione-lavoratore (l’uomo giusto al posto giusto). La prima introduzione su vasta scala dei metodi tayloristici fu attuata dalla Ford Motor Company, che nel 1908 realizzò la catena di montaggio per avviare la creazione del modello T, automobile destinata a conquistare il mercato con i suoi prezzi particolarmente competitivi. Henry Ford analizzò l’attività industriale con un approccio globale: introdusse l’articolazione del lavoro per specifiche mansioni lavorative con lo scopo di aumentare la produttività, ma concesse anche retribuzioni più elevate di quelle mediamente riconosciute dalla prassi delle relazioni industriali dell’epoca. La scelta non fu dettata da motivi filantropici ma da lungimiranza economica: la produzione di massa può essere sostenuta solo da elevati consumi. Il percorso lavorativo delle persone diventa quindi più stabile, il mercato del lavoro chiede una consistente professionalizzazione tecnica, un forte imprinting di sapere utile ancorato a tecniche da imparare e da eseguire poi una volta entrati nel mondo del lavoro (Rullani, 2004; 2007).
Tale situazione porta, come ricorda Accornero (2004), all’introduzione per legge, in vari paesi, del contratto di lavoro a tempo indefinito, che nell’Italia fascista del 1926 soppiantò il Codice civile del 1865, secondo il quale si poteva lavorare al servizio di altri soltanto “a tempo”, quindi i lavoratori, specie se skilled, potevano andarsene liberamente dando luogo a un turnover che assillava gli imprenditori.
Viene reso normale l’impiego stabile, ed eccezionale quello temporaneo, e questo assicura agli imprenditori una fedeltà duratura e ai lavoratori un lavoro garantito.

L’ultima transizione

L’ultima transizione si compendia nel modello post-taylor-fordista, ed è ancora in corso. Nell’era cosiddetta post-taylor-fordista la qualità totale sostituisce la produzione in linea, basata sulla catena di montaggio, con le isole di produzione o circoli di qualità. I singoli lavoratori non sono specializzati in poche ed elementari mansioni ma hanno più mansioni e una capacità di controllo sul processo produttivo; l’azienda diventa una rete.
Quest’ultima transizione, resa necessaria dalle trasformazioni dell’impresa, resa possibile dalle innovazioni della tecnologia ed accelerata dalla globalizzazione, sta facilitando il passaggio da un mondo del lavoro piuttosto uniforme, con sviluppi di carriere ben delineati e stabili, verso un universo di lavori assai diversificati, parecchi dei quali cangianti o sfuggenti. L’impresa si è fatta flessibile e si aspetta che il lavoratore sia altrettanto flessibile. L’elasticità della prestazione rispetto alle esigenze del mercato si ottiene con modalità di impiego che intaccano il modello di lavoro a tempo pieno e a durata indeterminata perché prevedono orari più corti, durate più brevi, o entrambi.
È cambiata anche la natura della prestazione cioè la qualità del lavoro: i contenuti sono meno manipolativi e più cognitivi, i compiti tendono a essere meno esecutivi ed estranianti, più cooperativi e coinvolgenti, e le conoscenze sono in genere meno specialistiche e più polivalenti. Sono cambiate, e continuano a cambiare, in altre parole, le modalità di produzione, scambio e uso delle conoscenza.

Con la crisi del fordismo si assiste ad una grande transizione nei modelli di lavoro; si passa da un lavoratore che doveva essere un tecnico, depositario di un sapere specifico ed esecutore di strutture che gli arrivavano dall’alto, ad un nuovo lavoratore che opera in modo auto-organizzato. Il lavoratore si trova infatti ad operare in situazioni e contesti diversi tra loro e in continua evoluzione dove il “capo” non organizza il contesto, ma spetta al lavoratore elaborarlo, cambiarlo, connetterlo con la propria intelligenza. Si va affermando, come sostiene Butera (1980), un’idea di professionalità indipendente e tendenzialmente autonoma, riproducibile e trasferibile, un’idea di professionalità attiva e aperta all’autoregolazione sociale, alla concertazione del mutamento organizzativo e alla negoziazione della sua collocazione nel mercato del lavoro, con il sostegno all’offerta di lavoro attraverso processi di formazione continua e ricorrente.
Le imprese, essendo parte di un sistema instabile (capitalismo globale della conoscenza) e dovendo continuamente rigenerare i propri vantaggi competitivi, hanno bisogno di persone con intelligenza fluida e di legami di rete. È per questo motivo che sempre di più tendono a valorizzare:

  • il lavoratore auto-organizzato in grado di auto-collocarsi;
  • l’autonomia delle persone;
  • la capacità di dare un proprio contributo ‘specializzato’ in rete;
  • il capitale intellettuale e relazionale.

Il contesto instabile non riguarda solo le imprese, ma chiaramente coinvolge le politiche occupazionali, l’ambiente, il contesto sociale, ecc.; è opportuno, quindi, per le persone imparare ad affrontare nuovi e diversi problemi, a sopportare rischi e incertezze, ad affrontare con curiosità le transizioni e i cambiamenti.
Tale situazione pone all’orientamento una serie di nuove sfide, sarà sempre più difficile per l’orientatore, come sostiene Soresi (2007), fare previsioni, suggerire o consigliare opzioni se non quella di diventare imprenditori di se stessi, di imparare ad affrontare il rischio, l’incertezza e quanto necessario per far fronte a nuove ed imprevedibili situazioni. “L’orientamento, ingaggiando una serie di nuove e impegnative sfide, potrebbe contribuire a proporre nuovi scenari e nuovi orizzonti in favore dell’autodeterminazione delle persone e delle capacità integranti degli ambienti e dei contesti formativi e lavorativi (Soresi, 2010, p. 8)”.

Bibliografia
Accornero, A. (2004). Individualismo di mercato e il lavoro post-fordista. Quaderni di Rassegna Sindacale-Lavori, n.1, gennaio-marzo.
Accornero, A. (2006). Il mondo della produzione. Sociologia del lavoro e dell’industria. Bologna: Il Mulino.
Accornero, A. (2000). Era il secolo del lavoro. Bologna: Il Mulino.
Butera, F. (1980). La divisione del lavoro in fabbrica. Venezia: Marsilio.
Parsons, F. (1909). Choosing a vocation. Boston: Houghton Mifflin
Rullani, E. (2007). Nordst: piccole imprese e nuove regole. In Aa. Vv., Fare scuola in un mondo che cambia. Treviso: Unindustria.
Rullani, E. (2004). Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti. Roma: Carocci.
Solberg, S., Soresi, S., Nota, L., Howard, K. e Ferrari L. (2007). Verso una nuova concezione della Psicologia dell’orientamento. In S. Soresi (a cura di), Orientamento alle scelte: rassegne, ricerche, strumenti ed applicazioni (pp. 9-16). Firenze: Giunti O.S. Organizzazioni Speciali.
Soresi, S. (2010). Prefazione. In S. Soresi e L. Nota (a cura di). Sfide e nuovi orizzonti per l’orientamento. Metodologie e buone pratiche (pp. 5-10). Firenze: Giunti O.S. Organizzazioni Speciali.
Soresi, S. (2007) (a cura di). Orientamento alle scelte. Rassegne, ricerche, strumenti ed applicazioni. Firenze: Giunti O.S. Organizzazioni Speciali.
Taylor, F.W. (1967). L’organizzazione scientifica del lavoro. Milano: Etas Kompass.

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