Perché in tempi di coronavirus è importante affrontare l’orientamento professionale attraverso un approccio informato sulla giustizia sociale?

Perché in tempi di coronavirus è importante affrontare l’orientamento professionale attraverso un approccio informato sulla giustizia sociale?
Tristram Hooley (University of Derby), Ronald Sultana (University of Malta) e Rie Thomsen (Aarhus University)

Traduzione a cura di Alessia Ramponi

In questo articolo, Tristram Hooley, Ronald Sultana e Rie Thomsen analizzano i cambiamenti che il coronavirus apporta alla nostra professione. Gli autori affermano che i governi dovrebbero riconoscere la gravità della situazione e supportare l’orientamento professionale al fine di aiutare le persone in questa situazione critica. Tuttavia cercare di gestire la crisi non è abbastanza. La responsabilità dell’orientamento professionale e di chi se ne occupa è anche quella di incoraggiare il singolo a comprendere le conseguenze che la politica ha sul mondo post-coronavirus e, in quest’ottica, pensare a come rendere questo nuovo mondo più umano, giusto e sostenibile. 

Negli ultimi anni abbiamo scritto molto riguardo all’importanza di sostenere le persone e le comunità nell’ampliare il proprio modo di pensare alla professione, non più da intendere solo come tempo speso nel mercato del lavoro per poter vendere il proprio tempo al miglior offerente, ma piuttosto come filo conduttore della propria vita, che unisce il lavoro pagato, quello non pagato, l’educazione, il tempo libero e il tempo dedicato alla famiglia, alla cittadinanza attiva, ecc. Il lavoro riguarda l’esplorazione di nuovi modi per essere umani nell’era dell’Antropocene, essere rispettosi del sé simbioticamene inserito all’interno di una comunità e, ahimè, di un ambiente sempre più a rischio.

Se il concetto di ‘professione’ è il protagonista positivo della nostra storia, allora il ‘neoliberalismo’ ne rappresenta il personaggio principale antagonista. Le strutture neoliberali e il modo in cui la cultura del neoliberalismo ha colonizzato il nostro pensiero, hanno comportato una trasformazione della professione da potenzialmente emancipatoria (in cui possiamo decidere che cosa fare della nostra vita), ad un processo definito da individualismo, competizione, insicurezza, schiavitù salariale e oppressione.

Nei nostri precedenti lavori sono presenti delle criticità, in quanto abbiamo dato diverso spazio all’agency e alle sue possibilità di emancipare le persone, ignorando le influenze dell’economia politica che svuotano gli individui dalla possibilità di autorealizzazione. La carriera all’interno delle politiche neoliberali si è tramutata in una pura corsa al successo che risulta essere dannosa sia dal punto di vista umano che per l’ambiente circostante. L’orientamento professionale si trova ad affrontare così una sfida, che vede il coesistere di due situazioni opposte: da una parte la professione come percorso di sviluppo della persona, attraverso cui gli individui ‘fioriscono’; dall’altra l’influenza del neoliberalismo che riduce le opportunità individuali e distrugge la speranza.

Pensiamo che l’orientamento rappresenti essenzialmente “una significativa opportunità di apprendimento che supporta le persone ed i gruppi nel considerare e riconsiderare il lavoro, il tempo libero e la formazione, grazie a nuove informazioni ed esperienze, e che come risultato conduce all’azione individuale e collettiva” (Career Guidance for Social Justice). Il nostro parere è che, considerando il tipo di mondo in cui viviamo, l’orientamento professionale possa incentivare lo sviluppo personale e l’emancipazione delle persone, per aiutarle a superare i limiti del meccanismo neoliberale. Non vogliamo ignorare o cercare di restare neutrali di fronte ai giochi di potere in quanto ciò significherebbe abbandonare la promessa di aiutare gli individui a vivere una vita ricca di significato.

La crisi del 2008 e le conseguenti instabilità e stagnazioni economiche hanno portato a nuove domande nel settore dell’orientamento. La retorica neoliberale, con le sue promesse di costante aumento del benessere e del consumo, sembra sempre più impossibile da realizzare, come si può riscontrare guardando all’ecosistema in cui viviamo. Dal 2008 si è pertanto diffusa a livello internazionale la ricerca di metodi alternativi al fine di organizzare la società e, nel nostro piccolo angolo di mondo, abbiamo iniziato a immaginare quale potesse essere il ruolo dell’orientamento professionale all’interno della discussione globale riguardante il futuro, il nostro futuro.

 

Il caso del coronavirus
Negli ultimi tempi, il mondo ha affrontato fenomeni sempre più destabilizzanti: da una parte abbiamo il nuovo autoritarismo (Trump, Orban, Modi), e la crescita del nazionalismo; dall’altra possiamo vedere nuove forme di resistenza in Greta Thunberg, Podemos, il Partito Laburista britannico e il Partito Democratico americano, per poi arrivare ad oggi, al 2020 e all’entrata in scena del coronavirus che ha fatto a brandelli le regole della politica e dell’economia esistenti. L’emergenza del coronavirus sembra nascere dal nulla, ci ricorda che gli esseri umani non sono gli unici attori sul pianeta, che a volte ciò che accade non è il risultato di alcuna politica, movimento sociale o sistema (politico o economico che sia), ci mostra che siamo vulnerabili, che il benessere che fino ad ora davamo per scontato, può sgretolarsi velocemente e apparentemente senza alcuna ragione.

Tuttavia, nonostante la natura casuale attribuita al virus, bisogna fare attenzione a non decontestualizzarlo. Come hanno affermato Nita Madhav e i suoi colleghi nel 2017 “la probabilità di una pandemia è aumentata rispetto al secolo scorso a causa della diffusione dei viaggi, dell’integrazione, dell’urbanizzazione, dell’utilizzo del territorio e dello sfruttamento dell’ambiente naturale”. Madhav sottolinea inoltre alcuni dei pericoli relativi alla capacità globale non uniforme di gestire una pandemia, poiché siamo forti solo quanto l’anello più debole della catena.

Tutto ciò ci ricorda che, anche se il pensiero neoliberale e le sue azioni non hanno causato il coronavirus, il mondo stesso è soggetto a tali pandemie e disastri naturali – una lezione che avremmo dovuto imparare già dall’Uragano Katrina e le sue conseguenze nel 2005. Le politiche neoliberali messe in atto per ‘tornare indietro’ e individuare le responsabilità per la salute e la società, ci hanno reso incapaci di gestire collettivamente una crisi come questa a livello sociale. Come ha scritto l’economista politico Will Davies ‘la fine del Keynesianismo è spesso vista in termini fisici o monetari ma essa è anche epistemologica. Lo stato neoliberale ha abbandonato l’intento di governare insieme, e ora non sa più come farlo’. Al momento stiamo assistendo a diverse tipologie di risposta dai governi statali: alcuni non mettono in atto specifiche politiche al fine di affrontare la crisi, altri coprono i necessari costi di manutenzione mentre ‘l’economia è ibernata’, come sottolineato dagli economisti Saez e Zucman.

Tutto ciò ha creato panico ed insicurezza nelle leadership mondiali che si mostrano incapaci di trovare una soluzione alla situazione esistente. Mentre alcuni ideologi come Ian Duncan Smith persistono mantenendo i principi neoliberali, la maggior parte sta disperatamente cercando nuovi strumenti che possano prevenire il collasso sociale ed economico e ciò ha portato ad alcuni riallineamenti particolari: Mitt Romney, candidato repubblicano alla presidenza americana, ha intrapreso una revisione delle norme legate al reddito di cittadinanza, mentre la Corea del Sud è stata elogiata a livello internazionale per gli interventi proposti.

Ci sono diversi scenari che possiamo immaginare pensando all’impatto che il coronavirus avrà sulle nostre vite: nel migliore dei casi potremo tornare alla normalità per la fine dell’estate, ma realisticamente parlando, anche se la pandemia scomparisse miracolosamente, il danno subito dall’economia sarà comunque sostanziale: molti ristoranti, bar, compagnie aeree e negozi rimasti chiusi durante questo periodo, non saranno in grado di riaprire di nuovo, non senza un supporto economico. Molte professioni subiranno dei cambiamenti, ad esempio potrebbero essere svolte sempre più spesso online, e assisteremo ad una nuova battaglia per ridefinire i concetti di normalità, di lavoro e di vita lavorativa.

 

In che modo l’orientamento professionale si inserisce in questo contesto?
Il coronavirus è il fenomeno che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, ha impattato maggiormente sulla vita professionale dell’individuo. A questo punto, considerando anche il fatto che abbiamo raggiunto il punto critico dell’emergenza climatica, i concetti di lavoro e professione basati su un’economia in continua espansione sono insostenibili. La pandemia ha dato il colpo di grazia alle concezioni preesistenti di natura, lavoro, tempo libero, vita familiare e società; molti dei consigli che abbiamo dato in passato riguardo a come ottenere una vita lavorativa soddisfacente, ora, possono essere messi da parte. In un mondo in cui andare in ufficio, mantenere contatti sociali, partecipare ad un’intervista sono azioni obsolete, l’orientamento professionale necessita di rivedere rapidamente il proprio messaggio, facendo attenzione alle nuove sfide che gli si presentano dinnanzi.

A causa del collasso delle industrie, assisteremo ad un aumento della disoccupazione, degli orari e del contenuto del lavoro. In seguito alla chiusura delle scuole e all’impossibilità di svolgere attività fuori casa durante il proprio tempo libero, il lavoro diventerà centrale nella vita delle persone, facendosi sempre più spazio all’interno della vita familiare. Emergono inoltre nuove disuguaglianze: troviamo da un lato le persone che possono lavorare da casa, al sicuro dietro ai propri computer, e dall’altro i lavoratori che ricoprono professioni sanitarie, i quali invece continueranno ad affrontare il mondo esterno, trovandosi ogni giorno a contatto con la malattia.

In questa situazione l’orientamento professionale risulta quindi essere un servizio essenziale (si veda anche Emma Bolger a tal proposito). Come affronteremo i cambiamenti lavorativi, familiari e sociali? Quali sono le strategie giuste per far fronte a tali cambiamenti, sia in modo individuale che collettivamente? È importante che i professionisti dell’orientamento esplorino le risposte a domande come queste, insieme ai cittadini, fungendo da cassa di risonanza per le riflessioni personali. Tutto ciò mediante l’uso di forum e strumenti online.

C’è anche la necessità che il governo e gli altri stakeholder reagiscano velocemente ai cambiamenti sopra menzionati, riconoscendo che l’orientamento professionale è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno per fornire un adeguato sostegno alle persone. È necessario capire che cosa esse pensano del lavoro, dell’istruzione, del tempo libero e di come questi cambieranno nel futuro; per fare ciò il governo dovrà inserire l’orientamento all’interno delle misure da adottare per affrontare la crisi.

 

Dalla crisi alla trasformazione
Nella situazione attuale, sarebbe facile per l’orientamento professionale adottare un approccio di intervento che aiuti le persone ad affrontare il mondo post-pandemia. Tale approccio risulterebbe però problematico: si incentrerebbe su un processo di adattamento e aggiustamento ad un mondo esterno apparentemente stabile, proponendo un’idea di realtà come immodificabile e immobile.

Le strategie di distanziamento sociale adottate hanno creato un momento di trasformazione che sarà ovviamente sfruttato in modi diversi da molteplici gruppi (politici, religiosi e altri), i quali cercheranno di usarlo per promuovere idee diverse e portare le persone a conclusioni convenienti per i propri scopi. Il nostro ruolo in questo senso sarà quello di aiutare gli individui a rappresentarsi un insieme di possibili soluzioni alla situazione di crisi, a riflettere attentamente e a considerare quali vantaggi esse comportano e per chi. Questo tipo di analisi può supportare le persone nella pianificazione efficace della propria vita professionale e inoltre sottolinea come ciò non significhi solamente imparare ad utilizzare nuovi strumenti di lavoro, come le videoconferenze, ma comporterà anche azioni per ottenere un salario migliore, assistenza sanitaria, sicurezza lavorativa e maggior controllo sull’economia.

Pertanto, pensiamo che un approccio all’orientamento professionale che coinvolga la giustizia sociale, sia essenziale per affrontare la situazione di crisi causata dal coronavirus. Nel volume Career Guidance for Emancipation, illustriamo cinque indicatori che definiscono un approccio socialmente giusto all’orientamento professionale. Li riportiamo di seguito affinchè possano essere applicati al contesto del coronavirus:

  • Costruire coscienza critica. Durante questo periodo di crisi, i professionisti dell’orientamento possono aiutare le persone a comprendere la situazione, incoraggiandole a pensare alle politiche che la caratterizzano e a capire quale sia la loro posizione relativamente le scelte dei governi, delle imprese e degli altri attori.
  • Dare nome all’angoscia. È chiaro che il virus non colpirà tutti allo stesso modo. Le persone più anziane, i malati, gli immunodepressi, costituiscono la parte più vulnerabile della popolazione, i quali saranno anche maggiormente a rischio di perdere il lavoro, la propria salute e potenzialmente anche la vita. Al contempo dobbiamo considerare anche i lavoratori precari, i sottopagati e quelli disoccupati che affrontano nuove problematiche e sfide ben oltre il mantenimento della propria salute. Questi gruppi, se non adeguatamente assistiti, saranno maggiormente colpiti dalla crisi. I professionisti dell’orientamento devono riconoscere i bisogni specifici di ognuno ed aiutarli a vedere le disuguaglianze e le ingiustizie che caratterizzano la loro posizione, organizzandosi in modo solidale per garantire loro una vita professionale decente.
  • Chiedersi che cosa sia normale. Il concetto di normalità cambia velocemente. Le discussioni che prenderanno luogo nei dibattiti politici, riguarderanno il ‘ritorno alla normalità’ e il tema della ‘nuova normalità’. All’interno della vita professionale questo discorso si manifesterà sotto forma di molteplici problematiche relative a come e dove dovremmo lavorare, in che cosa consisterà il nostro lavoro, che cosa può essere definito come malattia, stress, benessere etc. Incoraggiare gli individui a mettere in dubbio l’idea di normalità esistente è il ruolo chiave dell’orientamento professionale.
  • Incoraggiare le persone a lavorare insieme. Il coronavirus ha creato un ambiente complesso per la solidarietà. Da un lato ha determinato un insieme di esperienze comuni, che trascendono l’età, la nazionalità e le differenze individuali; dall’altro ci ha atomizzati impedendoci di stare insieme. I professionisti dell’orientamento possono aiutare gli individui a riunirsi allo scopo di supportarsi ed essere solidali. Molti gruppi di mutuo aiuto stanno emergendo velocemente ed è una necessità, per noi, farne parte e facilitare le interazioni sociali attraverso svariati strumenti.
  • Intervenire su più livelli. Infine i professionisti dell’orientamento devono riconoscere che la professione non prevede solamente lavorare con il singolo. Siamo in un periodo di rapido cambiamento e rinegoziazione e assicurare alle persone un lavoro dignitoso e una vita lavorativa ricca di significato richiederà un intervento nel sistema organizzativo, sociale e politico nel counselling e nell’educazione.

Le nostre NoN ultime parole

Quella del coronavirus rimane ancora una questione aperta, non pretendiamo di sapere che cosa stia succedendo esattamente e dove ciò ci porterà; questo articolo è un primo tentativo di teorizzare la situazione per comprendere meglio quale sia il ruolo dell’orientamento e quale aiuto si possa fornire. Incoraggiamo le persone che siano interessate a scriverci per discutere maggiormente sull’argomento. Nel frattempo, vi sollecitiamo a salvaguardarvi, a portare avanti un orientamento che favorisca la giustizia sociale e a mantenere un’idea di futuro positivo, capace di proiettarci verso un mondo migliore.