Un orientamento sostenibile nelle prassi scolastiche per promuovere giustizia sociale

Un orientamento sostenibile nelle prassi scolastiche per promuovere giustizia sociale
a cura di Domenico Trovato

Premessa
La pratica dell’orientamento scolastico e professionale costituisce nella scuola uno dei tanti adempimenti che gli insegnanti sono chiamati ad assolvere [1]. E come tale, cioè un impegno vissuto più a livello di servizio che professionale, nel tempo si è cristallizzata in categorie concettuali e formule applicative che promana-no dalle ‘ideologie’ del curricolo implicito[2], consapevolmente o inconsapevolmente maturate e agite nelle singole scuole. In questa dimensione anche la sostenibilità dei processi orientativi risulta compromessa e può inscriversi tra le con-cause destinate a confermare, perpetuare, amplificare quelle disuguaglianze sociali in molti casi già radicate in ampie fasce della popolazione scolastica.[3]

A fronte di queste problematiche, il presente contributo intende esplorare i tratti distintivi e le contraddizioni delle prassi orientative in atto, con particolare riferimento alla Secondaria di primo grado e argomentare sulla correlazione tra orientamento e giustizia sociale.

Strategie di <orientamento> a scuola: le solite liturgie?
Nonostante da diversi anni ricercatori del mondo universitario ed esperti di ‘cose’ scolastiche stiano approcciando in modo meno tradizionale la tematica dell’orientamento[4], sono ancora abbastanza diffusi nelle nostre scuole (livello del 1° ciclo), ‘riti’ che fanno leva su[5]:

prevalente attenzione alla cifra informativa dell’orientamento, a volte con il sotteso obiettivo di strumentalizzarne i contenuti per operazioni di marketing delle diverse offerte di corsi di studi;

esondante sequenza di messaggi rivolti agli alunni, veicolati spesso con una artificiosa frattura dell’ordina-ria programmazione scolastica(‘per alcune settimane il menu didattico prevede attività di orientamento…);

investimento in azioni di supporto allo studio, di tutoraggio, di training, per gli studenti, interventi che si rivelano spesso improduttivi, in quanto non attinenti all’empowerment di abilità essenziali per il futuro scolastico-lavorativo (autodeterminazione, assertività, pianificazione, consapevolezza e pensiero critico[6]…);

enfasi sulla didattica orientativa, (di recente ‘arricchita’ con il costrutto delle competenze), nella convinzione che l’orientamento è fattore ‘trasversale’ a tutte le discipline, delle cui matrici sintattiche si serve per generare competenze e conoscenze applicabili in ogni contesto. Si dimentica, però, che ogni disciplina ha suoi statuti peculiari, che non possono essere fittiziamente curvati a quelli propri dell’orientamento[7];

formulazione del consiglio orientativo, che, in quanto crocevia di un groviglio di istanze e aspettative da parte della scuola, dello studente, della famiglia, si caratterizza come un dispositivo dalla incerta identità, ma artefice e ‘complice’ degli esiti di disuguaglianza che interessano molti studenti;                                                 

titolarità degli interventi assegnata a professionisti, insegnanti, che, a causa di una formazione ‘superficiale’ nella materia, si affidano prevalentemente a ‘luoghi comuni’, errate credenze, stereotipi culturali, interfacciandosi, senza filtri, con le conoscenze del tutto inadeguate possedute dalle famiglie.
In sostanza un modello di orientamento che, all’interno dei processi di profiling (‘l’uomo giusto al posto giusto’, Parson, 1909, Holland 1973) e di matching[8], esalta prospettive lineari di abbinamento tra persone o contesti e visioni ‘privatistiche ed intra-individuali’ (Soresi & La.R.I.O.S. 2019), connesse con domande del tipo ‘Cosa vuoi fare da grande?’, ‘Qual è la tua professione ideale?’, ignorando altre matrici scientifiche[9] più attente alle problematiche dell’inclusione, dell’equità, del lavoro dignitoso, della povertà educativa, del- le ricadute del c.d. sviluppo tecnologico e in generale dei futuri possibili e soddisfacenti per tutti.

Traiettorie di ‘orientamento’ di segno diverso
Come anticipato, da diversi anni la ricerca dedicata si sta indirizzando verso altri orizzonti teorici ed applicativi, invero abbastanza dissimili dagli approcci adottati a scuola. In questo contesto ne forniamo solo una disamina per punti focali:

pre-occuparsi del futuro dovrebbe essere uno dei compiti principali del processo-percorso di orientamento. Eppure ancora pochi docenti, il 45%, lo realizzano, come pure meno del 10% degli studenti conoscono l’Agenda ONU 2030 e, tra questi, solo il 35% ritiene che alcuni dei suoi Obiettivi di sviluppo sostenibile possano riguardare la loro futura qualità della vita ( % ricavate da indagine Larios-UNIPD, 2018);

le visioni e le pratiche routinarie di orientamento non possono più essere quelle di un tempo e vanno superate quelle teorie semplicistiche e neoliberiste che pongono al centro dell’occupabilità (o employability) le caratteristiche individuali e le competenze possedute dalle persone;

le competenze acquisite nei percorsi di orientamento, poiché sono state conquistate grazie alle ‘relazioni’ con gli altri, non sono solo dell’individuo, ma ‘nostre’, appartenenti, cioè, ai contesti che le hanno rese possibili e quindi debbono essere agite per ‘il dirigersi e l’andare insieme’ verso società più solidali;

il tema dei diritti sociali [10] nelle sue declinazioni delle pari opportunità in tutti i campi, delle condizioni eque di lavoro, della protezione sociale, dovrebbe far parte di ogni curricolo sull’orientamento;           

– categorie come ‘aspirazione’(Appadurai A., 2004, 2011), ‘consapevolezza- consciousness’ (Freire 2012, Heberle,2020), ‘prevenzione-previsione’(Soresi, 2020),riflessività’ (Schon, 1987), ‘agency-agire per con-seguire obiettivi’ (Soresi, Nota 2019), ‘autodeterminazione’ (Soresi, 2016), ‘adaptability’ (Savickas e Porfeli, 2012), ‘benessere comune’(Foucault, 1971; Deluze, 1989), debbono diventare ‘tratti distintivi’ di un vocabolario, di un paradigma dell’orientamento e di progetti basati su innovazione, advocacy sociale/tutela dei diritti dei deboli, attivismo (Nota et al., 2020), per transizioni aperte sul futuro;[11]                                                  

a livello di input didattico, si tratta di non chiedere più ai giovani ‘Cosa vuoi fare da grande?’, maPer quali valori coltivi i tuoi interessi?’; ‘Di quali problemi intendi occuparti ?’; ‘Cosa vorresti apprendere ancora e di nuovo, perchè il tuo lavoro, anche in tempi di crisi, possa essere riconosciuto importante?’: ecco, le sfide del futuro pongono questi nuovi interrogativi;                                                

chi fa orientamento dovrebbe proporre occasioni di riflessione a proposito di costrutti e valori quali quelli dell’adaptability, dell’importanza di investire nella formazione continua, di progettare in condizioni di incertezza, sollecitando ad esercitare il fare cooperativo, il cosmopolitismo, la resilienza, l’ottimismo e la capacità di ‘manifestare’ le proprie ‘indignazioni’,

L’orientamento scolastico genera ingiustizie?: i numeri
Non sembri un quesito da ‘accanimento terapeutico’ su un sistema, quello scolastico, che già vive giornalmente problematiche complesse ai diversi livelli (centrale, decentrato, del personale, degli utenti…). Ma, riflettendo sulle molteplici inadeguatezze che lo attraversano, è una domanda, a mio avviso, da farsi se vogliamo affrancarci da quel politicamente corretto o da quella Weltanschauung che, nell’affrontare le di- verse emergenze educative, ne ragionano come se le cause fossero sempre indeterminate (il ‘sistema’, le ‘politiche’…) o esogene, esibendo una neutralità che rasenta il qualunquismo.

Invece leggendo indagini, Report, studi, ricerche, gli stessi documenti delle Scuole (RAV e Rendicontazione sociale), qualche testo ministeriale (Una politica nazionale di contrasto del fallimento formativo e della povertà educativa, 2018) e ascoltando le ‘voci’ di genitori, docenti, studenti, ATA, dirigenti, ci si rende conto della ‘estensione’ di tali criticità, alcune strutturali, che la scuola, nella sua autonomia autoreferenziale, ali- menta con opzioni formative e progettuali per nulla sostenibili.[12]

Tra queste l’offerta di un servizio di orientamento, con strategie già illustrate, che implementa i seguenti scenari di una scuola’ ingessata’ (L. Ribolzi, 1997), con lo sguardo rivolto al passato[13]:

ascensore sociale bloccato[14] , per cui l’orientamento concorre a confermare ulteriormente, in una sorta di determinismo socio-formativo e attraverso una ‘canalizzazione precoce’, il background ambientale e familiare degli studenti . Così, per i livelli di scolarità, ragazzi con genitori ‘meno titolati’ sono destinati, di solito, a carriere scolastiche ad intermittenza, se non ‘a perdere’, con quasi ‘naturale’ approdo alla forma-zione professionale regionale o statale, ragazzi con genitori ‘più titolati’ affrontano corsi di studi con soddisfacente successo e si contendono i Licei e i Tecnici. Di questo forte legame intergenerazionale tra i titoli di studio ci riferisce il Rapporto Alma Diploma (2020)[15]: ‘…Il 29,7% dei diplomati 2020 ha almeno un genitore laureato, il 46,5% ha genitori al più diplomati, il 22,8% ha genitori con un titolo inferiore(qualifica professionale, licenza media, elementare o nessun titolo). In particolare la quota di diplomati con alle spalle genitori laureati va dal 40,5% dei diplomati Liceali [16], al 16,7% dei Tecnici e al 10,2% dei percorsi Professionali.’;                                                

persistenza intergenerazionale delle condizioni economiche[17], fenomeno che considera la correlazione esistente tra la provenienza sociale, l’istruzione e il reddito (Diplomato il padre, diplomato il figlio. Laureato il padre, così il figlio e anche il nipote. E quel ch’è peggio, ad alto reddito il padre e ad alto reddito le gene-razioni successive), disvelando che ‘…solo un liceale su sei proviene da una famiglia operaia… nel 2016 al Classico si sono diplomati solo l’8,7% di ragazzi figli di impiegati o di operai, a fronte di un 45% di figli di professionisti, dirigenti, docenti universitari e imprenditori. Allo Scientifico sono usciti il 13,1% di ragazzi che provengono dal ceto medio-basso, ai Tecnici il 30,9% …ai Professionali il 38% …Ma non basta. Se andiamo a vedere la questione ripetenti si scopre che il 30% dei bocciati al liceo due o più volte appartiene alle famiglie operaie, contro il 17% della classe sociale benestante.’;[18]

gli insuccessi nella Secondaria di II° si concentrano nei Professionali e nei Tecnici: la maggiore % di non ammessi alla classe successiva si registra nei Professionali (10,4%). Minori le non ammissioni nei Licei (il 4%) e nei Tecnici (9,5%). Lo scoglio principale si conferma il primo anno di corso, con il 10,3% di non ammessi all’anno successivo in tutti gli ordini di scuola. Inoltre la quota maggiore di studenti con sospensione del giudizio si trova nei Tecnici (26,4%), seguiti dai Licei (19,2%) e dai Professionali (16,8%);

il voto dell’esame di Licenza Media (oggi Esame di Stato) rappresenta un predittore per la scelta di un Istituto Superiore e per la carriera scolastica: infatti il 94,2% degli studenti con la votazione di dieci e lo- de sceglie di iscriversi al Liceo e tale % varia di poco tra gli studenti con voti compresi tra il 9 e il 10. Diversa- mente tra gli studenti che hanno avuto 8, solo il 62% sceglie un indirizzo liceale, mentre per chi ha riporta-to 7 e 6, la % di iscritti al Liceo scende rispettivamente al 40% e al 22%. Gli studenti che all’esame hanno preso 7 preferiscono i Tecnici per il 43%, mentre chi ha conseguito una votazione pari al 6 prosegue gli stu- di soprattutto nei Professionali (32%). A livello di carriera scolastica il Report ministeriale evidenzia come quasi 190 mila studenti non arrivino a conseguire l’ex diploma di Maturità. Nello specifico su 100 ragazzi che si sono iscritti ad un Istituto Secondario di II°, solo 67 arrivano a sostenere l’ex esame di Maturità nei tempi previsti. C’è di più: il 31,7% decide di abbandonare la scuola ancor prima della fine del ciclo di studi e l’1,3% non viene ammesso all’esame di Stato. In particolare il 67% dei licenziati con 6 non riesce a consegui-re il diploma di Maturità. Migliore la situazione per chi all’esame di Licenza Media ha avuto un voto più alto: l’83% dei diplomati con 8, il 93,4% con 9, il 97,2% con 10, si diplomano in tempo;[19]

gli esiti delle Prove Invalsi e le rilevazioni OCSEPISA su literacy e numeracy attestano nei dati Invalsi, che le performances degli studenti (Primaria, Secondaria I° e II° grado) low performer/con bassi risultati correlano con l’origine familiare e territoriale. Esaminando gli esiti di OCSE-PISA 2018 dei ragazzi con lacune nei saperi irrinunciabili della matematica di base e della lettura (low achievers), il 36% dei quindicenni provenienti da contesti, anche familiari, svantaggiati non raggiunge le competenze minime in matematica e il 29% in lettura e comprensione di semplici testi.[20]

L’orientamento scolastico genera ingiustizie ?: oltre i numeri
Per evitare che il quadro statistico precedente si imponga con i suoi freddi dati, è opportuno corredarlo con qualche riflessione:

1. ‘La scuola italiana è tuttora ‘di classe’ come diceva Don Milani 50 anni fa’: [21] funziona meglio per chi non ne ha bisogno, istituzionalmente accoglie tutti, ma durante il percorso ne respinge molti, sia perché poggia su un <blocco sociale> di garantiti (docenti della classe media e famiglie benestanti) che da anni rap-presenta lo ‘zoccolo duro’ dell’utenza, indifferente ai fenomeni di disagio scolastico esistenti nelle fasce ‘più basse’ della popolazione scolastica, sia perché processi e procedure(tra cui quelli dell’ l’orientamento) impliciti ed espliciti, costruiti nel tempo, resistono ad ogni tentativo di riforma;[22]

2. le logiche formative e i dispositivi ordinamentali correlati (dalla valutazione all’orientamento, dall’inclusione all’integrazione interculturale, dall’ ASL, ora PCTO alla continuità, dal curricolo al clima di classe…) costituiscono presìdi formativi importanti per tutti gli ordini di scuola, ma nella prassi obbediscono ad un sistema di rappresentazioni, condiviso pure dalle famiglie, che crea gerarchie tra le tipologie di Scuola.  La loro declinazione perciò varia a secondo del tipo di scuola: il Liceo non è consigliabile per persone con disabilità, i Professionali ( e i CFP) invece sono più ‘indicati’, per i Tecnici occorrono solide basi logico-progettuali, nei Professionali la dimensione operativa facilita gli apprendenti deboli, [23] nei Licei si richiedono robuste capacità astrattivo- deduttive, nei Professionali si ‘impara facendo’, e via banalizzando;

3. negli assunti impliciti di molti insegnanti esiste una scala di valori rispetto agli ordini di scuola dove insegnare, correlata a diversi fattori, non ultimo quello della popolazione scolastica che vi affluisce. Insegnare    in un Liceo o in un Tecnico è più gratificante (più prestigioso? Ti rivolgi all’eccellenza) che dover lavorare in un Professionale (ti ritrovi con gli ‘sfigati’, con gli ultimi). Ne deriva che la rappresentazione del ‘valore’ di un tipo di scuola è generata, in un circuito perverso, da colui che intende sceglierla;   

4. i c.d. consigli orientativi ovviamente non originano dal nulla, ma sono il ‘portato’ della storia scolastica dello studente e delle scelte curricolari attivate ai diversi livelli (percorsi educativi e didattici, interventi compensativi, processi valutativi, gestione delle relazioni…), che costruiscono un profilo identitario, forse anche una ‘gabbia’ destinata a permanere nel tempo, soprattutto nelle sue connotazioni socio-ambientali e cognitive, causando e confermando diseguaglianze(per quanti degli oltre 2 mln di NEET il C.O. è stato fatale?).

Sguardi sul futuro tra consapevolezze e possibili rimedi
Sarebbe già un primo passo che la scuola, nella sua autonomia, riuscisse a prendere coscienza di questi fenomeni e indirizzasse l’orientamento verso traiettorie di sostenibilità educativa, di prevenzione, di equità. Tale consapevolezza richiederebbe, come conditio sine qua non, che:

– il <sistema>, nei suoi disegni di politica scolastica, assumesse nuovi paradigmi da tradurre in disposizioni normative differenti da quelle in vigore;

– fosse attivato un diffuso programma di formazione del personale, con l’istituzione di una figura intermedia, l’orientatore;

– tale impegno di rinnovamento venisse accompagnato, secondo un approccio sistemico, da interventi mira-ti di welfare su lavoro, habitat, salute…, per sostenere quelle fasce di popolazione che si affacciano alla scuola in situazioni di vulnerabilità.

L’ emancipazione sociale di tanti cittadini (di questo si tratta!) non è un ‘affare’ solo della scuola, ma una responsabilità collettiva di tutte le Istituzioni. L’alternativa è che si ripeta l’attuale processo causale: insuccesso scolastico (che genera) personalità fragili – (che formano) famiglie deprivate – (che crescono) figli in stato di minorità.

[1] Nonostante la funzione orientativa della scuola, in senso formativo, sia stata esaltata da Leggi, Circolari, Linee Guida etc., prevale la logica del ‘compito’ da svolgere, con spazi residuali per la sperimentazione di modelli innovativi.

[2] Tale curricolo, parallelo a quello ufficiale, è saturo di un ‘sentire comune’, di routine, di convenzioni e ‘domina’ gli scenari del ‘fare scuola’. Senza successo i tentativi di metterlo in discussione.

[3] L’intreccio tra azioni orientative e riproduzione delle disuguaglianze sociali in educazione è stato oggetto di studi nell’ultimo decennio. Vds. Romito M., 2016; G.Argentin & alii, 2017; G. Salza, 2017; P. Calidoni, S.Cataldi, 2014.

[4] Vds. le pubblicazioni di P. Freire (1968), Soresi S., L. Nota e La.R.I.O.S. UNIPD(2000, 2010, 2012, 2018, 2020); S.I.O., Società Italiana per l’Orientamento/NL; M. Romito(2016); A. Appadurai(2011); O. Scandellla(2019); Sultana R. (2020).

[5] D. Trovato, Orientamento scolastico: mappe per un progetto di vita, Agenda della Scuola, n.2/2015, Tecnodid, NA. Adattamento. E inoltre dello stesso autore i saggi pubblicati sempre in Agenda della scuola, n.150/2020, n. 152/2021.

[6] Qui nell’accezione di saper ‘leggere’ i complessi fenomeni della società odierna, certo non nel significato ‘economi-cistico’ attribuitogli nel Report del Comitato MI guidato da P. Bianchi(2020)’…In questo modo si può permettere a tut- ti…di…sviluppare competenze tecnologiche, scientifiche… per esercitare il proprio diritto di… essere lavoratori critici ‘.

[7] In questo ambito vds. la normativa ministeriale e altri contributi recenti e non(Linee Guida PCTO con all. 2019, Linee Guida nazionali 2009, 2013, 2014; il Progetto Orientamento con C. Pontecorvo, 1998; gli scritti di G. Domenici,1998,      di M. Viglietti 1989, dell’IRRSAE Piemonte e Veneto, 1998-1999 e quelli numerosi di F. Marostica 2003, 2008 (in M.L. Pombeni), 2009, 2010, 2012, 2021(anche con Cerini-Spinosi e su Scuola 7, Tecnodid, dal 2017 al 2021), del C.I.D.I..

[8] Pratiche che si fondano la prima sulla valutazione dei requisiti di accesso alla formazione e al lavoro, la seconda sulla corrispondenza tra caratteristiche del settore professionale e attitudini personali.

[9]Ad es. la visione evolutiva di Super(1984), quella socio-cognitiva di Lent e Brown(1996-2003),quella costruttivista del life design di Savickas(2005),riprese in Italia da Soresi e Larios(cfr. pure Carta-Memorandum per l’orientamento, 2019).

[10] Vds. opportunamente il documento EU <Il pilastro europeo dei diritti sociali>, con i suoi 20 rilevanti princìpi(2017).

[11] Per approfondimenti vds. D. Trovato, Inclusione e orientamento, Agenda della Scuola, n. 152, 2021, Tecnodid, NA.

[12] In nome della <sostenibilità>, concetto da qualche tempo diffusosi nel ‘mercato’ politico, socio- economico-cultura-le, formativo, ambientale, la scuola progetta percorsi dedicati (la mobilità, la biodiversità, il cambiamento climatico, la pace…), ma raramente si interroga sul suo essere un servizio sostenibile che contrasta i disagi e promuove benessere.

[13] Per evitare accuse di voler fornire informazioni ‘di parte’, preciso che quanto riportato attecchisce (cfr. i dati) in una platea abbastanza ampia di Scuole, ma non mancano percorsi innovativi e buone pratiche.

[14] Vds. su Scuola 7,Tecnodid, n. 118/2018 e n. 226/2021, contributi di M. Maviglia e di M.G. Dutto, ma per letture più impegnative, P. Bourdieu e J.C. Passeron(1964), Blossfeld Y.e Shavit H.P.(1993), A. Schizzerotto, (2002),Brunetti I.2020.

[15] Il Rapporto si riferisce ai diplomati di 16 Regioni e di 246 Istituti, con oltre 36.000 studenti analizzati.

[16] Con punte del 62,4% tra i diplomati al Classico e del 46,8% tra i diplomati allo Scientifico.

[17] Vds. studio della Banca d’Italia, < Istruzione, reddito e ricchezza: la persistenza tra generazioni in Italia> curato da L. Cannari e G. D’Alessio (2018) e articolo di A. Corlazzoli, Il Fatto quotidiano, 05.04.2017, su dati AlmaDiploma.

[18]Meno felice la situazione degli studenti stranieri/CNI(860.000): solo il 33,9% sceglie i Licei (italiani ca. 53%), mentre il 37,4% (Italiani al 30%) opta per i Tecnici, il 18,6% per i Professionali, il 10,4% per i CFP(Focus MIUR 2018/19).

[19] I dati, se non diversamente indicato, provengono dai Report statistici MIUR, a.s. 2016-17, 2017/18, 2018/19.

[20] MIUR, Una politica nazionale di contrasto del fallimento formativo e della povertà educativa, 2018, pagg. 8-12. Vi si legge una documentata rassegna di dati e problematiche su NEET, dispersione, abbandono, indice ESC, vulnerabilità. Cfr. anche i documenti prodotti dal CENSIS, da OCSE, dall’ISTAT, da Save the Children, da Oxfam, da ASVIS, etc.

[21] MIUR, op. cit., 2018, pag. 10. Ovviamente il focus è su alcune criticità strutturali del sistema educativo.

[22] La <scuola digestiva> evocata da F. Dolto(1989), che tutto ingoia e assimila.

[23] Tali ‘amenità’ sono pure codificate in Vademecum, Quaderni, Guide, Manuali ad uso di studenti e famiglie; vds. ad